Adoro questa tipologia di
gare, poco "sansiriane" e molto trash inteso come compagine
priva di blasone - è bene chiarire - dunque con tutto il rispetto
per la simpatica squadra abruzzese allenata, peraltro, dal buon
Carmine Gautieri a cui auguro di salvarsi, lì dove il Bari "non
può" perdere, anzi, "deve" vincere a man bassa visto
lo spread storico tra le due compagini perché volete mettere, mo',
il Bari dei due gol di Biagio Catalano a San Siro, di Mujesan, di
Iorio, di Protti, di Joao e di Barreto, benedetto iddio, col
Lanciano, per giunta pure preceduto dall’aggettivo Virtus?
E Lanciano, ennesima
location beckettiana dell'assurdo calcistico, potrebbe essere
“L'ultimo metrò” truffautiano per Torrente accompagnato dalle
prime note del de profundis, debitamente supportate dai Bravi
locali già in azione da qualche giorno.
Così impara, Dolcenera,
a compiere un primo miracolo lo scorso anno quando, indossando vesti
a campana di più figure professionali necessarie al metaforico
orfanotrofio di Via Torrebella, ha dedicato solo i ritagli di tempo
al mestiere che gli riesce meglio visti i risultati fin qui ottenuti,
ovvero a quello dell’allenatore, riuscendo tuttavia a salvare la
squadra dalla C e allontanarla dalla palude dell’indifferenza mista
a rabbia e depressione sacrosante derivanti dalla retrocessione amara
e velenosa di due anni fa, facendola arrivare addirittura decima in
classifica incorniciandone il traguardo persino da qualche numero
lusinghiero.
Un traguardo prestigioso conseguito quando tutti - e ribadisco tutti - tranne me la davano
per spacciata, badando, contrariamente al suo credo calcistico,
quello con cui ha vinto per due anni di seguito in Umbria e pressoché
sempre nelle giovanili del Genoa, al sodo senza tanto spettacolo per
quanto lo desiderasse anch'egli, sbagliando fisiologicamente in buona
fede come Conte con il Chievo, l’Avellino e il Sassuolo ma che
però, al pari delle figuracce rimediate da Perotti, Carboni, Pillon
e Maran con giocatori sicuramente più esperti e di categoria
quantunque alcuni fossero davvero imbarazzanti, non sono mai stati
contestati e criticati al pari di Torrente, con giocatori arrivati un
po' forzosamente a causa della mancanza di denari, ed altri scelti,
sì, da lui ma tra un ventaglio di personale abbordabile a costo
zero.
Detto papale papale, mai e poi mai, Torrente, se solo avesse
avuto qualche garanzie economica in più, avrebbe pensato di dare una
seconda possibilità al desaparecidos Rivaldo nello spirito
dell’autogestione proprio perché, arrivando a Bari, si trovò
davanti ad una situazione diversa da come gliel'avevan descritta, pur
sapendo dei problemi societari ma che mai e poi mai credeva dovesse
assumere tali proporzioni, in un macramè infernale tra passaggi di
tempo nell'Agenzia delle Entrate e di Equitalia, tra puntatine
all'Ufficio del Lavoro e alle Procure varie, e tra mille altri
problemi quando invece il solo obiettivo doveva essere rafforzare la
squadra di calcio. Arrivare a Bari, per Torrente, voleva dire toccare
il cielo con un dito, arrivare ad un traguardo prestigioso che gli
avrebbe permesso di sbarcare in A quanto prima, mica voleva dire
sedere sulla panchina del Foligno o della Ternana.
E insieme ai due acerbi,
ma non per questo potenzialmente forti, Bellomo e Galano e ad altre
scommesse (alcune delle quali azzeccate ma, ahimè, destinate a far
ritorno alle basi a fine anno: Forestieri e Stoian su tutti) e con
l'apporto d'esperienza sia pur al 20-30% di Bogliacino, De Falco,
Donati, insieme a De Paula, ha allestito una squadra dignitosa
accettando Bari che, lo ricordo, secondo lui, "non è
un'avventura ma storia, leggenda". Ma questo, certa stampa e i
Bravi lo dimenticano. O, meglio, lo sanno ma fa comodo non ricordarlo
al momento opportuno dovendo trovare in fretta un colpevole.
E così impara, Torrente,
ad aver fatto maturare, grazie alle domeniche passate saggiamente tra
tribuna e panchina, Nicolino Bellomo, scelta non condivisa dagli
analfabeti amanuensi baresi del calcio (a differenza di tanti altri
che, pur storcendo il naso, han capito ed apprezzato la scelta)
arrampicatisi come volpi esopiane sulle uve acerbe della discussione,
e giunto, invece, ai giorni d'oggi maturo e pronto al lancio nel
calcio che conta. Al pari di Romizi, Ceppitelli e di qualche altro
ben gestito dal Magister di Cetara.
E così impara, Torrente,
ad azzerare il gap dei 7 punti in tre partite sole, con una squadra
priva pure del 20% della suddetta esperienza (Bogliacino, De Falco,
Donati e De Paula) innestata da dilettanti, dalle solite belle
speranze, da personale della Primavera e supportata da qualche
giocatore d’esperienza ma il cui peso specifico non è esattamente
pari a quello dei suddetti dello scorso anno sia pur al 20% (perché
Bogliacino e De Falco han reso più o meno su quelle percentuali),
ottenendo fino adesso 19 punti piazzandosi idealmente in zona playoff
ma di fatto in zona playout rimanendo, adesso, senza attaccanti di
peso e dovendo far affidamento alla Madonna delle Mura megalitiche di
Altamura affinché il suo figliolo prediletto possa sbagliare qualche
gol in meno e a qualche intuizione di Grandolfo e di Fedato che, si
sa, non possono competere con gli omologhi attaccanti delle altre
squadre in termini di esperienza. Ma per i Bravi "bisogna che
faccia giocare Grandolfo! Diamine".
E siccome alla fine, come
sempre, a vincere saranno le minoranze etniche, quei pochi che sin
dall'inizio non lo hanno mai potuto digerire a causa della mia difesa
ad oltranza (dunque per mero spirito di patate) e perché abbagliati
ancora dalle giocate di Kamata, Swarowsky Barreto e Mr. Muscolo
Almiron, non riuscendo a far divertire le loro cloache optometriche
perché, secondo la loro dottrina, o ci si diverte o si caccia via,
vedrete che Torrente salterà subito. In un momento - è appena il
caso di ricordare - in cui gli amministratori del Bari calcio che si
stanno facendo, nel vero senso della parola, “un mazzo così”
(quando ci vuole, ci vuole) dopo le dismissioni dei Matarrese che
attendono, forse, segnali più precisi dalla politica, sopravvivendo
tra mille peripezie in autogestione, cosa unica nel panorama
calcistico italiano. Con questa resa, ovvero rimanendo ancora in B e
risultando, di fatto, sesti in classifica sia pur in momentanea
caduta libera.
Ma la colpa è solo di
Torrente. Lontano da me sperare che il Bari perda a Lanciano, cosa
peraltro da mettere in preventivo, ma semmai dovesse perdere,
malauguratamente, fossi in Torrente, dopo tutto quello che ha fatto
per il Bari rinunciando a società più sicure e sposando la causa
Bari sia per convinzione sia per sfida, abbandonerei la panchina. Si
avete capito bene. Spero si dimetta e torni nei quartieri dove il
sole del buon dio non dà i suoi raggi, in quella Via del Campo tanto
cara a Faber. Perché l'ambiente locale non merita un Signore come
lui indotto ad errori fisiologici e sempre sotto pressione. Del
resto, "bisogna lasciare qualcosa alle persone per farsi
ricordare, per far capire che stare con me non è come stare con
chiunque". Peccato che Torrente, però, per quanto ne so,
essendo un Ulisse del terreno verde, dunque un combattente nato, non
abbandonerà mai la nave. Semmai verrà buttato giù.
Ho la coscienza in
ordine, almeno quella, visto che altre cose sono in palese disordine:
nella vita ci vuole dignità e coerenza; io avrò mille difetti,
diecimila lacune e non son mica certo se ci voglia coraggio perché
la paura non ha mai avuto la meglio su di me sebbene, talvolta, abbia
avuto il timore di cedere. E' che non ho mai rinunciato a collegare
la testa al cuore. A differenza di altri. Tutto qui il mio segreto.
E poi, scusate, ma la
stupidità degli altri mi affascina molto – mutuando Flaiano - ma
preferisco la mia.
"Ab uno disces omnes", diceva, infine,
Virgilio a proposito dei greci secondo cui bastava vederne uno per
capire che eran tutti traditori e bugiardi.
E domani vado a Lanciano.
Ritorno in campo. Speriamo definitivamente.
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