Una gara, quella di oggi,
giocata col massimo impegno da tutti, con un super Defendi alla sua
migliore gara da quando è a Bari e con qualche mossa di Torrente
apparsa, all'inizio, quanto meno dubbia ma che non ha inficiato sulla
resa (quella di Aprile, ad esempio, sin dal primo tempo: ma se lo ha
gettato nella mischia un motivo valido ci sarà senz'altro) tanto che, comunque, ha
prodotto tre nitide occasioni gol nel primo tempo ed altrettante nel
secondo, e frantumata dal solito, puntuale, strafalcione difensivo,
stavolta partorito dalla premiata polleria barese di periferia che,
complice l'unico tiro in porta degli avversari da parte di super Zaza, ne ha sancito l'ennesima sconfitta. Un classico, insomma:
il Bari fa la sua onesta partita, l'avversario fa un tiro in porta
viziato dall'errore difensivo ora individuale, ora collettivo, lo
trasforma in gol, e vince la gara. Ne ho contate almeno sette di
queste partite. Poi si può discutere sulle scelte, gli schemi, su De Falco che continua a non convincere e a configurarsi come doppione di Romizi, e viceversa, ma se le amnesie sono all'ordine del giorno, se manca quel faro necessario (come c'era lo scorso anno) ad illuminar d'immenso, o comunque quanto basta, i reparti per tratteggiare la via maestra, ogni tentativo di cercar alternative risulta vano.
Ed è un vero peccato
perché, volendo analizzare la gara in modo obiettivo, non credo si
possa puntare l'indice sulle scelte di Torrente: errore difensivo a
parte sul quale nessun allenatore potrebbe farci nulla anche se le
difese son composte da blaugrana o da bianconeri (se si sbaglia, si
sbaglia, e basta), quando ha capito che penetrare tra le maglie
difensive ascolane era diventato complicato, ha levato un
centrocampista (Romizi) per Fedato, quindi ha inserito Iunco per
l'indecifrabile Aprile codino e tutto - unica motivazione, fino
adesso, per il quale è diventato idolo qui a Bari - cercando,
dunque, un po' più di qualità e di esperienza, invano, in un'aia di
campo calpestata da brutti anatroccoli alla ricerca del fraseggio
irritante fatto da tacchetti, palle ad effetto e mezzi passaggi nel
raggio di venti centimetri, tipologia di calcio che, come noto, non
paga mai ma soprattutto trapassato.
Non sarà un caso che,
alla fine, il solo Bellomo - prossimo compagno di Cassano - è
risultato l'unico cecchino. E poi la scelta di Galano il quale, se
non altro, ha provato a tirare in porta senza badare a sfrecciare
sulla fascia.
Buona prestazione,
tuttavia; la squadra ha creato tanto dando l'impressione che l'anima
esiste nell'immanenza aristotelica della Torrente's E Street Band,
quella necessaria per tirare lo sprint alla salvezza, e se non fosse
stato per il portiere barese Maurantonio, sceso nella sua città col
trolley dell'indisponenza tipicamente bariota per comportarsi,
appunto, da "barese" ma con la maglia del picchio, e che ha
fatto la partita della vita al pari di celeberrimi suoi antichi
colleghi, magari scarsi di proprio, ma divenuti improvvisamente tanti
Lev Jascin ogni qualvolta calcavano le aree delimitate dalla polvere
di calce dei vari terreni baresi decantati dalla storia, il Bari
avrebbe sicuramente, quanto meno, pareggiato.
Ma le parate del
portiere, insieme alle micidiali ripartenze (una volta, ai tempi di
Tonino Carino, conosciute come contropiedi) ascolane han messo in
difficoltà il Bari e nulla han potuto Aprile e Fedato, apparsi
parecchio prevedibili e, impegno a parte, decisamente poco incisivi.
Meglio così. Era ora,
anzi. Ci voleva la mega sosta natalizia per sancire quali fossero le
ambizioni dei biancorossi. E adesso che comincia, finalmente, il vero
torneo del Bari, il cui obiettivo di partenza era la salvezza. E
finire, malinconicamente, laggiù tra le ultime, sebbene lasci un
retrogusto di amarezza mista a sacrosanta preoccupazione, non può
che far fuoriuscire quell'orgoglio necessario per raggiungere il
traguardo. Un traguardo apparso già difficile sin dall'inizio del
torneo a causa dei 7 punti di penalità (contro i sei dello scorso
anno) e del materiale a disposizione che, sulla carta, appare senza
quel tasso d'esperienza adatto per vincere qualche partita in più
nei momenti difficili, magari senza convincere (come ha fatto lo
scorso anno), e quelli che dovrebbero garantirla, di fatto, risultano
poco determinanti a differenza dello scorso anno quando la resa al 20-30% di Donati, Bogliacino, De Paula e De Falco,
se non altro, garantì una salvezza dignitosa.
Da mo' vale, insomma, per
dirla alla maniera nostrana.
Piuttosto mi chiedo,
visto che le note del carillon presidenziale sono alla fine del loro
giro, cosa si aspetta, per il bene della squadra della città, a
passare la mano lasciando all'interno i generali e i soldati che, fin qui, hanno gestito alla grande la Platea della sopravvivenza nel calcio che conta. Azzerando o, quanto meno, alleggerendo i debiti. Senza se e senza ma.
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