Capita,
talvolta, come certe notizie riescano a dare, spesso e volentieri, il
colpo di grazia a quanti, storicamente, cercan di occuparsi di calcio
attraverso, però, non più penne, tastiere e supportati da indomita
passione mista a cristiana rassegnazione, ma sviluppando aree,
perimetri e teoremi con righelli, compassi e goniometri di geometria
esistenziale a causa dello sfiguramento della sfera pallonara per
cercare di capirne ancora qualcosa e, di conseguenza, descriverne
qualche scena.
E
per me che, limiti, lacune e difetti atavici a parte, mi reputo
ancora uno di quelli che legge e guarda il calcio diversamente dal
mondo intero, come un migrante dorico alla ricerca di un luogo dove
erigere una capanna quasi paleolitica alla ricerca di un anfratto
dove poter scrivere liberamente di pallone, solfeggiando tra un do
minore e un fa diesis bemolle, ed una terzina poco trimetramente
giambica o asclepiadea rendendola, forse, più carduccian-pasoliniana
(a costo di far terra bruciata tra i lettori) e che tenta di
tracciare trame di gioco con l'assenzio di Baudelaire e con la lucida
follia di Beckett, è più facile, infatti, descrivere le gesta poco
eroiche di questo calcio di cui, in tutta onestà, comincio a far
fatica a reggerne il peso specifico nonostante abbia trovato posto
privilegiato per descriverlo, quello dalla parte del torto, visto che
tutti gli altri posti sono stati occupati da altre voci.
E
ieri, dunque, due le notizie che mi han messo ulteriore tristezza e
rabbia. Una certa, l'altra meno - anzi, tutta da dimostrare - quasi a
significare, ed anzi, a dimostrare che l'Italia (Bari non ne
parliamo) è davvero un Paese assurdo: del resto, in un Paese senza
memoria storica (o quasi), dove cultura e valori non hanno più alcun
significato, dove si antepongono sciocchezze, sketch televisivi sotto
forma di tribune politiche e starlette varie, dove imperversa il
ciarpame mediatico piuttosto che il sano disquisire, in un Paese dove
si ha la sfacciataggine di dare il lasciapassare alla candidatura di
un certo Sig. Moggi senza proferir parola, si fa fatica davvero a
scrivere qualcosa, anzi, si corre il rischio di essere presi a
finocchi in faccia. Ma corro volentieri il rischio. Chi se ne frega
Del resto sono orgogliosamente abituato.
Da un lato,
la
disperazione contenuta, dignitosa ma irruente, di Martino Borghese
che avevo appena sentito, il quale, con la voce ancora incredula,
quasi riuscissi a vedere quei suoi occhi grandi e pregni di
improvviso stupore, non riusciva ancora a capacitarsi per certe
scelte societarie, rispettabili nella loro natura, ma che lasciano un
inevitabile retrogusto di amarezza, sicuramente più di qualsiasi
altro distacco, non foss'altro per il suo evidente - unico nel suo
genere - attaccamento alla maglia che, forse, sin dai tempi gloriosi
di Giovanni Loseto, Edi Bivi ed Igor Protti (inteso come periodo
storico, dunque non solo loro tre) non si vedeva così marcato.
Una
istantanea fotografica in cui lui, ultimamente, si è specializzato
entro la quale ha tentato di trasmettermi quel comprensibile senso di
incredulità mista a giustificata rabbia per il passaggio improvviso
e, forse, inaspettato, dalle vaste lande periferiche baresi, in odor
di Bitritto, alle risaie di Vercelli dove le zanzare son grosse
"così" rispetto a quelle di qui. Tigri incluse.
E' quel
"lai" tendenzialmente malinconico che non mi ha lasciato
affatto indifferente, un lamento tenero e nascosto tra il suono
lontano delle sue parole trasudante di stupore transustanziatosi in
una romanza triste e lieve. Ecco, insomma, tradotto in soldoni, mi è
parso parecchio intristito per la scelta imposta dall'alto al punto
che, sensibile come sono, ha fatto calare una cateratta di tristezza
pure alle stanche palpebre del sottoscritto.
Non
starò qui a giudicare la scelta societaria di disfarsi di un
granatiere quirinalesco, come spesso l'ho paragonato nei miei scritti
corsari, che avrà pure commesso qualche errore come ne han commessi
tutti e come ne commettono anche Messì, con l'accento sulla i, e
quant'altri, ed anzi la rispetto perché, evidentemente, ci sarà un
motivo valido, ma diosanto, lasciatemi esternare quel moderato senso
di mestizia che fa pendant con l'attuale momento calcistico. Barese
in particolare.
Le
scelte societarie, quelle di un'azienda, vanno rispettate sempre
quantunque, spesso, possono risultare non condivisibili. E forse, in
questo momento, lui non rientrava più nei quadri societari
nonostante qualcuno si ostini a dire che fosse lui ad essersene
voluto andare. Ma si sa: se a dirlo sono gli amanuensi squittanti dei
forum, è matematico che accade il contrario. E' comprovato. Dati
alla mano, così qualcuno si incazza.
Ricordo
Martino, ultimamente, quando ci siam fatti gli auguri natalizi, dopo
aver passato 6 mesi difficili causati dal suo momentaneo
allontanamento dagli undici titolari e che, evidentemente, gli avevan
procurato comprensibili disagi, lui granatiere professionista col
vizio del gol in zona Cesarini, allorquando candidamente, nella sua
disarmante onestà e professionalità, mi disse testualmente "voglio
riappropriarmi di quella maglia, Massimo, farò di tutto per mettere
in amorevole difficoltà il Mister perché ci metto l'anima negli
allenamenti, magari poi sbaglio in campo qualche volta, però lavoro
sodo e ho 25 anni! Ci credo in questo Bari, amo la città, i compagni
in particolare che mi son stati vicini durante questo periodo
difficile, amo i tifosi tutti". Ecco quel che mi disse. Insomma.
La
seconda notizia, quella ancora tutta da dimostrare, che mi ha gettato
nello sconforto più grande e che, di fatto, ove fosse confermata,
bucherebbe per sempre il pallone entro il quale vivo come in una
sfera di cristallo offuscata e che mi spingerebbe nell'antipositività
shopenhaueriana più disarmante, è quella relativa al presunto
coinvolgimento nel lordume del calcioscommesse di Giampiero Ventura
lanciato a bomba, senza pietà, dalla bocca di un personaggio
tendenzialmente ambiguo e contraddittorio che, forse, nel tentativo
di coinvolgere quanta più gente possibile, si diverte a sparar
sterco col ventilatore, risultando, dunque, poco attendibile se non
per qualche minus habens - i soliti credenti alle fandonie più che
alle sentenze - a cui le gesta eroiche dell'allenatore son diventate
mercimonio di subdoli dibattiti mediatici volti a screditarne la sua
opera qui a Bari, a prescindere dai suoi fisiologici errori commessi
e dalle sue litanie divenute celebri, gesta che han dato spunto ai
suddetti amanuensi scribacchini per divertirsi dietro alle sue
spalle, magari trincerati dietro ambigui nickname. Le solite cose,
insomma.
Ho difeso, e sempre difenderò, Giampiero Ventura per
quello che ha svolto a Bari, sia pur con sfaccettature diverse
rispetto a Torrente, come noto, anch'egli da me difeso senza se e
senza ma, in una situazione difficile, tra eterni e sospetti
infortunati, squalificati, e con l'odor di quello che, di lì a poco,
sarebbe successo in società. Poi, magari, a qualcuno potrà essere
risultato antipatico per questioni personali o avrà un concetto
diverso dal mio, e su questo non posso dir nulla, ed anzi, lo
rispetto. Ma io non potrò mai accusarlo e prenderne le distanze se a
San Siro, contro l'Inter, fece giocare sulla fascia sinistra al posto
degli infortunati Belmonte Raggi e Salvatore Masiello, tal Pulzetti
che tutto era, in effetti, fuorché terzino sinistro ma che, se non
altro, risultava, in quel momento, il più esperto di tutti tra i
convocati arruolabili. No, non posso, perché l'unico disponibile,
Rinaldi, la cui ultima partita l'aveva giocata due mesi prima contro
il Viserba nel derby con la Santarcangiolese, se fosse stato
impiegato su Maicon o su Eto'o, avrebbe corso il rischio pressoché
certo non solo di autocombustionarsi, ma anche quello di essere
sottoposto a pubblico ludibrio mediatico, tanto caro a qualche forum.
Così
come non mi sento di accusarlo per altre scelte tecniche dettate
dalla situazione del momento, come quella tanto scioccamente discussa
da taluni allorquando si "permise" di mettere Romero al
posto di D'Alessandro (capirete: manco stessimo parlando di Causio al
posto di Bruno Conti), sempre a San Siro, contro il Milan in Coppa
Italia, né tanto meno in quell'altra, contro il Cesena in casa,
quando decise di mettere sulla fascia il machiavellico Andrea
Masiello per Crimi, mossa discussa da tutti. No. Piuttosto lo accuso
di non essersi imposto a dovere per altri motivi ben noti e di non
essersi dimesso, seriamente, a suo tempo.
Ricordo le sue scelte
forzate di cercare alternative nei vari Cilfone, Monopoli, Strambelli
e Rana quando i titolari, a partire da Swarosky Barreto ed Almiron,
non potevano essere arruolabili. Ecco, proprio non riesco a muovergli
critiche, fermo restando che anche lui, come tutti, avrà pure
sbagliato talvolta. E la storiella di Genova, in tutta onestà, non
riesco a somatizzarla.
Alla sua partenza ricordo che gli scrissi
persino un'ode che resi pubblica.
Come sempre, attendo gli sviluppi
delle indagini, ma sia chiaro che se solo la notizia fosse confermata
- e ripeto se solo fosse confermata - non solo cercherò di chiudere
col calcio definitivamente tornado ai miei interessi di sempre,
bucando per sempre il pallone come i vigili urbani coi ragazzini di
Piazza Garibaldi ai miei tempi, perché vorrà dire che sarà giunto
il momento di chiudere definitivamente il baraccone del calcio, ma la
delusione e l'amarezza saranno talmente alte che non so, davvero,
quale potrà essere la mia reazione. Ma, come sempre, sono parecchio
fiducioso a tal proposito. Le sentenze definitive, son per me, quel
che cantano. Il resto è sterco. Meno che il Bari attuale che merita
di essere supportato per quel che sta facendo. Sempre.
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