23 maggio 2011

Bari: tra fisiognomica, introspettiva e retrospettiva

Editoriale per Go-Bari 23/05/2011

tra ricordi, immagini, momenti di gloria e ingloriosi, tifosi spaccati, e colpe varie. Non di Pisapia.

Alle 20 di ieri sera, finalmente, è calato il sipario su questo maledetto campionato del Bari, forse uno dei più assurdi ed umilianti della ultracentenaria storia, ultima appendice (anzi appendicite) di un tetra periodo col quale i tifosi innamorati del Bari - e non, quindi, gli speculatori - hanno conosciuto un momento più unico che raro. Una salvezza agguantata in extremis in B, quattro anni fa, dopo il crollo natalizio in casa col Lecce con cui terminò l'epoca Materazzi e iniziò quella Conte e Perinetti, poi un anno vissuto alla grande con la promozione in A progettata solo da questi due personaggi ma non dalla società, una promozione super visto che 81 punti non si raggiungono tanto facilmente, quindi uno strepitoso decimo posto con Giampiero Ventura, la migliore prestazione del Bari in A dopo il mitico settimo posto al triste color di Superga, infine il tracollo, in piena parabola discendente e sicuramente non ad opera di Pisapia, come in ogni fase di vita (sempre breve per il Bari), con le illusorie vittorie settembrine già, peraltro, contaminate da prestazioni alquanto strane lo scorso anno (Livorno, Siena), fino ad arrivare ai tempi nostri, guarda caso, ancora una volta col Lecce. Corsi e ricorsi storici, insomma. Col Lecce si è resuscitati e col Lecce si torna nell'inferno. E dopo la partita di Bologna che ha messo in evidenza un nuovo potenziale prodotto "made in Bari" (Francesco Grandolfo, ndr) pronto da metter sulle bancarelle di Piazza del Matarrese, e a proposito del quale, radio mercato lo dà già bello e venduto ad una squadra ancora top secret, come nelle previsioni, occorre cercare di voltar pagina. E in fretta.
Perché un anno negativo può anche nascere da un male oscuro difficile da diagnosticare, un'annata disgraziata nasce e scappa via dopo aver morso come una vipera, ma un periodo lungo no: e allora i tifosi urlano, imprecano come in una giornata nata male e finita peggio, irridendo tutto ciò che, in qualche modo, accomuna il colore biancorosso. E' la passione: quella fatta di fumo, di ricordi, vestita con la stoffa delle illusioni, delle nebbie, dei gates aeroportuali, del profumo delle stazioni ferroviarie, dal dolce e anatomico dondolio dei vagoni dal quale, come una icona bizantina, appare una fisiognomica di donna, forse la tua, la nostra donna, la passione del tempo trascorso sull'asfalto delle autostrade per raggiungere mete vicine ascoltando Battiato, Guccini, i Gentle Giant e i Genesis con la mente aperta a frammenti visivi di un Manzin, tutta sostanza, che non sbagliava un rigore nemmeno a pagamento (altro che Barreto), un Galluzzo sgusciante come Florio, o di un Asnicar e la sua celebre chioma pettinata all'indietro, materializzatisi improvvisamente come dei fotogrammi quasi fossero un ponte tra passato e presente; quella delle pene passate, dei ricordi, dei profumi percepiti a Bergamo, a Roma, a Catania profumata di arance e di storia antica, spolverata dalla cenere etnea, a Cagliari con le sue bellezze naturali e gastronomiche, a Bologna e le sue osterie e quell'odor di medievale pregnante sotto i portici, gli zingari felici di Piazza Maggiore, a Firenze, quelli uditi sotto il balcone di Giulietta, a San Siro con le luci struggenti di uno stadio che chissà mai quando verranno riaccese dal Bari. Le emozioni e le speranze, appunto.
La ricerca della speranza del tifoso barese diventa una promessa di felicità, purtroppo: ritrovare il tempo passato a godere per Barreto e Conte non è impossibile. Basta che il mondo ricreato nella sua mente sia un mondo fantasioso, a sua misura, un mondo interiore, quasi mistico, costruito sul gioco della memoria e del tempo. La passione biancorossa di questi ultimi tre anni - ma in particolare di quest'ultimo anno - si basa sulla contrapposizione tempo perduto-tempo ritrovato e poi di nuovo perduto, tra un Barreto tanto fragile come un vetro di Swarovski quanto strepitoso, ed un Almiron tutto muscoli ma assolutamente da dimenticare, attraverso la memoria storica involontaria che altro non è il ricordo spontaneo di una sensazione di gioia, un momento di felicità, l'urlo strozzato in gola di un gol da tre punti al 95' fuori casa, provata nel passato ma suscitata dalla stessa sensazione nel presente.
E qui dovrebbe intervenire l'anima della società calcistica, la società che in primis dovrebbe capire le esigenze di 50/100/400 mila tifosi baresi sparsi in tutto il mondo la cui sofferenza non è la stessa di quella di 20 famiglie in cerca di attici o pentavani vista mare, no: è l'eterna esigenza di una tifoseria, di un popolo, che nasce, cresce e muore aspettando quel Godot biancorosso che si materializzi in competizioni più confacenti al suo target, un popolo di tifosi che tra i suoi amori e i pochi passatempi che possono permettersi - soprattutto operai, lavoratori precari, ragazzi, studenti e pensionati - ha solo il Bari nel cuore, un popolo che pure garantisce una continuità perpetua se solo stimolata a dovere.
Insomma, per dirla in breve, diventerebbe una rendita vitalizia se solo gestita a dovere ma soprattutto se solo la società guardasse il calcio in chiave anche passionale e non solo imprenditoriale. Solo in poche parti d'Italia, infatti, si può far leva su questa condizione nella quale esiste un indotto come il nostro, mica si può intavolare ad Empoli o a Reggio Emilia dove una promozione in A basta e avanza nel loro palmares.
Talvolta lo spirito e l'intelligenza hanno il compito di riavvicinare le sensazioni che si allontanano e che sfuggono. Ma a volte ci lasciamo prendere troppo dalla filosofia, dalla poesia e dalle riflessioni, trasportandole nel calcio senza fare i conti con l'oste, Don Vincenzo & Family. Siamo abituati: del resto il calcio barese ci piace osservarlo così, criticandolo sanamente, ma fermamente, e comunque sempre civilmente e, speriamo, in maniera insolita, originale, mai banale, applaudendolo nei rari casi in cui, grazie alla fortuna, c'è da rendergli omaggio, mica prendendo nota dei corner battuti da Rivas o da Huseklepp, o dei tiri in porta fatti da Grandolfo o da Almiron, cui comunque diamo pure notizia, nè tanto meno dei rumors gossippari.
E a proposito di rumors, proseguono le numerose trattative tra possibili acquirenti iniziate dapprima con la cordata di imprenditori locali, quindi con la holding tedesco-americana, infine con quella di Proto, ex spasimante non ricambiato del Toro ora con un mazzo di rose rosse da omaggiare alla società del Bari in segno di corteggiamento. Proto è arrivato al Bari grazie all'interessamento del sito "Orgogliobarese" che, stando alle dichiarazioni del suo webmaster Lucarelli, si sta dando da fare per portare avanti con coraggio, testardaggine e coerenza la trattativa, a quanto pare, legata ben bene alla tastiera, al monitor e al mouse degli ideatori in quanto speditamente adocchiata da altri siti che, per la mera gloria - ancorchè per accaparrarsi meriti - cercano di usurparne l'idea, ricevendo, però, un cortese e secco diniego dall'interessato (Proto), diniego a cui sembra siano seguiti, inevitabilmente, azioni di discredito. Tipico spaccato di una Bari da bere solo al peroncino, nello specifico, di una tifoseria a cui fa comodo frammentarsi in fazioni, ma che inconsapevolmente danneggia ulteriormente l'immagine della città già di per se compromessa a causa di recenti episodi violenti, censurabili e parecchio discutibili oltre che goffi. Una tifoseria, dunque, in guerra civile quasi fosse divisa in guelfi bianchi e neri di dantesca memoria.
Davvero paradossale ed assurdo quel che succede a Bari: di questo passo non ci sarà magnate o imprenditore disposto ad investire nella città di San Nicola perchè, arrivato a Bari, dopo aver percepito le due arie che tirano - quella di Via Torrebella, storicamente dissuasiva, e quella della tifoseria, mai stata unità - saluta tutti e va via. Altro le chiacchiere.
 

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