25 novembre 2012

Nel "o tempora o mores" del tifo, Dolcenera vince ancora



Succede da sempre, soprattutto nel Bari, che dalle avversità fuoriesce sempre il meglio di ciò che il destino prevede. Per dirla alla De Andrè "dai diamanti non nasce niente, è dal letame che nascono i fior", laddove il letame non è certo trasfigurabile nella rosa biancorossa, anzi, piuttosto nella situazione kafkiana che regna sovrana in Via Torrebella ma che, con grande dignità e solerzia, si tende a portare avanti nonostante l'imbecillità umana transustanziatasi, oggi, in curva perché contestare i Matarrese lo si può pur capire (anche se mi piacerebbe sapere, una volta andati via, chi potrà esserci dopo di loro, senza con questo dimenticare gli enormi errori commessi, negli anni, dalla Famiglia con una gestione troppo frettolosa dei giocatori e dei conseguenti treni della gloria perduti come gli orizzonti poetici), ma contestare il Dott. Garzelli per aver proferito frasi, secondo le quali, se la situazione finanziaria fosse continuata così, ci si sarebbe dovuto preparare al peggio (possibile cessione di qualche pezzo pregiato volta alla sopravvivenza) - frasi peraltro cripticamente confermate da Antonio Matarrese in una intervista parallela sulla Gazzetta di oggi allorquando, ad una precisa domanda relativa a cosa avrebbe fatto il Bari al mercato di gennaio, il Dott. Matarrese ha risposto sic et simpliciter che "l'unica cosa che può fare quando servono i soldi" - ma di fatto mai confermate ed anzi smentite dal Direttore Angelozzi, frasi che, tutt'al più, volevano suonare come un campanello d'allarme a causa della nota idiosincrasia al Bari calcio dell'imprenditoria locale, vuol dire essere arrivati davvero alla follia umana.

Forse costoro dimenticano che Claudio Garzelli, ex portiere si, ma soprattutto uomo colto, preparato, economista doc, uomo che sa di calcio come pochi e che in questo mondo pallonaro marcio parla correttamente l'italiano senza sbavature od espressioni banali sgrammaticate dando l'idea di essere un marziano atterrato in questo pianeta viscido e sporco, obtorto collo, ha salvato il Bari per tre anni consecutivi dalla sparizione certa, grazie alla sua professionalità nel gestire una situazione societaria divenuta impossibile.
Ben gli sta, dunque, a Claudio Garzelli, a districarsi nella selva oscura che si è presentata al suo arrivo a Bari, ad intrecciare rapporti con banche, Equitalia, Agenzia delle Entrate, Uffici del Lavoro, Procure della Repubblica varie, puntate in Lega per difendere la società dimenticando il suo lavoro principale, vale a dire, quello di Direttore Generale, prima, e di Amministratore Delegato dopo: o tempora o mores. Al peggio, davvero, qui a Bari, non c'è mai fine. E' bene che qualcuno li informi costoro.

Tornando alla gara, a proposito di De Andrè, storico tifoso del mitico Grifone, durante un concerto confessò la sua fede rossoblu, ma soprattutto confessò che nella sua formazione ideale del Genoa di tutti i tempi, tra Aguilera Signorini e Skuravy, era imprescindibile la presenza di Dolcenera Torrente. Del resto, dal poeta della canzone per eccellenza al quale, come noto, spesso mi ispiro per i miei struggenti resoconti sul calcio barese selettivi, dal Trenet della canzone italiana, non poteva che attendersi una affermazione saggia quale, appunto, è questa.
Ed oggi, Dolcenera Torrente, ha colpito ancora. Soprattutto ha colpito quella sua determinazione mista a quella felice ottusità che fa l'occhiolino alla coerenza tipicamente torrentiana nel gettare nella mischia una banda di ragazzuoli la cui età media variava tra il primo e secondo tempo, tra i 19 e i 20 anni a causa dell'ingresso di Defendi che ne ha alzato la media. Saranno rimasti male i soliti, pochi, mentecatti tifosi eretici che vedevano la sua entrata come l'inizio della fine.

Insomma, un ritorno al passato per Vincenzo Torrente che come nelle sue precedenti esperienze dove ha vinto tutto coi ragazzi, dopo non aver subito gol a Lanciano, si è ripetuto oggi mettendo a tacere, temo non definitivamente, il macchiettismo d'avanspettacolo configurato nelle sortite semantiche dei soliti imperturbabili tifosi da tastiera che, pur di mostrare la loro avversità verso Torrente, blaterano ad minchiam sostenendo che quella di Lanciano è stata una vittoria fin troppo facile e che, dunque, non contava. Ma si sa, oltre ad essere in malafede, dovendo sfogare le proprie frustrazioni, non sono nemmeno informati sul cammino della squadra abruzzese e dei suoi exploit qua e la in B.
E nella piece del derby ornitologico coi turtlen al gusto di canarino, oggi rappresentati da 30 tifosi stipati nello spicchio consueto del San Nicola, il Bari ha fatto il tiro a bersaglio, soprattutto nel primo tempo, alla squadra modenese allenata da Marcolin il quale ha, probabilmente, studiato la partita rivedendosi quella con la Reggina convinto di farla franca sul finale, magari con un golletto di Stanco, nomen omen, ed invece ha dovuto subire due gol su rigore sacrosanti, "summa" dell'enorme mole di gioco fatta di ripartenze da parte di Sciaudone, di un super Bellomo e di Romizi terminate con le altrettanto numerose occasioni gol procurate - e sbagliate - dagli attaccanti baresi.
Ciccio Caputo, dopo aver sbagliato il suo consueto gol clamoroso, ha messo tutti a tacere siglando due rigori da antologia: palla a destra, portiere a sinistra.

Un Bari che è piaciuto per l'approccio alla gara, per la sua determinazione nel cercare la vittoria, riuscendo persino a commettere quei falli tattici tanto voluti e pretesi da Torrente a causa di gol subiti proprio per troppa approssimazione in fase di chiusura e che, finalmente, han commesso, soprattutto su Lazarevic, che, in qualche modo, hanno evitato il peggio alla difesa imbattuta barese.
Un Bari, dunque, anche in crescita in termini di personalità e di maturità, pane necessario alla sopravvivenza in questo ginepraio di categoria dove non conta, tanto, la qualità quanto l'esperienza.
E di quel funambolo di Fedato ne vogliam parlare? Un giocatore costato zero arrivato in comproprietà dal Catania che, complice il momentaneo out di Iunco, Albadoro e Grandolfo si sta guadagnando i galloni di titolare. Ed oggi, numero da cineteca a parte, ha confermato personalità e maturazione. Insomma, un giocatore che sicuramente darà il suo contributo alla salvezza e che, come tanti, crescerà sotto l'egida del Maestro Torrente.
Ed ora sotto col Sassuolo del presidente di Confindustria nella rappresentazione teatrale del Davide contro Golia, economicamente parlando si intende, perché Golia rimane e rimarrà sempre il Bari.

17 novembre 2012

Il Bari risorge in Terra d'Abruzzo. Con buona pace dei Bravi manzoniani locali




C'erano 14 gradi a Lanciano, a due passi dalla pineta dannunziana, e nello stadio Guido Biondi rimesso a nuovo per poter disputare la Serie B, il cielo era plumbeo, tutt'altro che carducciano, sin dall'inizio tanto che i riflettori sin da subito han fatto capolino sul rettangolo di gioco fino a formare i giochi d'ombra sulle sagome dei calciatori. Ed erano le 15 di un sabato italiano. Sperando che il peggio potesse essere passato...
Certo, questi stadi con la pista velodromo, un po' d'antan, lasciano sempre quel retrogusto di calcio ancora genuino sebbene, in questo caso, contestualizzato in un ambiente di provincia a misura d'uomo. E il Bari di questi stadi ne ha visitati tanti e quasi sempre li ha espugnati. E Lanciano non è stata l'eccezione.

Era la prima partita ufficiale per il Bari a Lanciano in quanto ad agosto scorso c'era stata un'amichevole in occasione del Trofeo Majo vinto ai rigori dal Bari per 4-2, e chissà se nel passato ne ha giocate altre, magari ai tempi di Mujesan o di Tontodonati ma ieri è stata la prima ufficiale in assoluto, quella che va a finire di diritto negli almanacchi così come lo son finite le sfide col Rende, col Foligno, col Licata e con l'Alcamo in illo tempore.

Molti i tifosi baresi presenti al Biondi oggi: certo la vicinanza chilometrica ha aiutato il mini esodo, quasi fosse un Roma Bari in miniatura, ma quei 200 baresi stipati lassù sulla curva del velodromo non sono passati inosservati: si son fatti sentire. E pure tanto.

Sul proprio campo, con sullo sfondo i colli teatini ed un infinito quasi leopardiano, essendoci il mare a 10 chilometri da qui, ma senza passeri solitari, il Lanciano allenato da Carmine Gautieri, che in conferenza stampa  nel ricordare la sua parentesi barese con estrema gioia ed un pizzico di malinconia salutando i tifosi baresi, ha ammesso con serena e disarmante obiettività la superiorità del Bari, non aveva ancora vinto mentre il Bari di Torrente aveva bisogno di tornare a far punti anche per evitare di scivolare in fondo alla classifica e, possibilmente, pensare di riprendere il cammino con più serenità d'animo alla luce di recenti sciocche polemiche infrasettimanali, tipicamente webbaiole e, dunque, inattendibili.

Detto fatto: alla fine ha prevalso la logica biancorossa di Dolcenera Torrente, capitano coerente e coraggioso che, in solo colpo, ha messo a tacere persino i Bravi manzoniani baresi che, puntuali come gli orologi dei campanili delle chiese protestanti svizzere, travestiti da corvi parlanti, gli han remato contro alle prime negatività fisiologiche manifestate da una squadra giovanissima ma già con la testa sulle spalle.

E stravincere qui a Lanciano al cospetto di una squadra modesta quanto si vuole e che ha fatto letteralmente solletico ai ragazzi baresi, ma pur sempre una delle 22 di B livellata in basso (un po' come la Ternana, pessima al San Nicola, da primato successivamente e, dunque, non si può escludere che possa risorgere prima o poi anche se, a naso, lotterà per non retrocedere), schiacciarla e metterla alle corde per quasi 100 minuti non credo possa dipendere solo dalla scarsezza degli avversari: piuttosto credo che sia stato davvero  bravo il Bari, occorre guardarne i meriti della squadra barese piuttosto che i demeriti di Gautieri apparso impotente davanti a cotanta forza in campo.
Se una squadra sa mantenere ritmi così alti per tutta la gara, manifestando superiorità totale, vuol dire che ha un'anima, un'anima tenace insita in ogni giocatore che san quel che vogliono, ma soprattutto si vede la mano del suo condottiero Ulisse Torrente. Infondo, fino adesso, sembrano averla lasciata negli spogliatoi solo nel secondo tempo con l'Empoli, mica per tutte le 14 gare. Dunque, va bene che il Lanciano fosse ben poca cosa ma bravo il Bari a saperne approfittare commettendo, nonostante tutto, i soliti errori di precipitazione e di poca cattiveria nei momenti topici. Una squadra con margini di miglioramento notevoli composta da giocatori, fondamentalmente, dai piedi buoni.

E le scelte di Torrente di mettere sin da subito un super Fedato che ha margini di miglioramento notevoli ("quel pallonetto ha significato – ha detto Torrente in sala stampa – che i numeri ce li ha: deve solo perfezionarsi") con Caputo e Galano in attacco, con il rientrante Bellomo a supporto qualche metro dietro, con Sciaudone e Romizi a dominare il centrocampo, mentre Sabelli, fresco di Nazionale under 20, e il terzetto Borghese, Claiton e Polenta davanti a Lamanna a svolgere un compito di normale amministrazione là dietro, è stata vincente.

Il Bari è sembrato avere sempre il pallino del gioco, guadagnando sempre più campo, sempre in anticipo sugli avversari mettendoli praticamente alle corde fino allo stremo sbagliando tanti, troppi gol: solo un paio di volte, infatti, quelli del Lanciano si sono affacciati dalle parti di Lamanna, per giunta in modo sterile.
Un super Caputo tutto sostanza ha fatto la differenza: un giocatore ritrovato che ha saputo mantenere alta al squadra, sgomitando lottando e suggellando la prestazione del primo tempo con un gol dei suoi grazie ad un assist perfetto di Bellomo (non nella sua migliore partita a cui, tuttavia, gli son bastati due-tre giocate luminari per meritare la sufficienza piena) e mettendoci la firma definitiva col rigore al 6' del secondo tempo.
Ma prima del gol dell'altamurano, al 30', forse nel momento meno proficuo della squadra biancorossa, il Bari è passato in vantaggio con Sciaudone che ha ripreso una ribattuta del portiere lancianese causata da un tiro ravvicinato dello stesso Caputo, oggi decisamente il migliore in campo, gol a parte ovviamente.

Un Bari romanzesco grazie alla caparbietà e alla coerenza del suo allenatore che cocciutamente, non ha cambiato nulla nel modulo andando avanti col suo credo, rispondendo sul campo a tutti e mettendo i puntini sulle i laddove andavano messi. Premiato, dunque, il coraggio di Dolcenera così i Bravi manzoniani baresi se ne faranno una ragione.

Alle prime tenebre abruzzesi è terminata la gara con la vittoria strameritata di Bari nettamente più forte del Lanciano per 3-0: insomma un risultato come i vecchi tempi, come il Venezia Bari 0-3 di 45 anni fa allorquando il Gazzettino scrisse “il Venezia soccombe davanti ai leoni baresi”, o come il Vicenza Bari 0-3 di qualche anno più tardi: un risultato che non fa una grinza e che fa salire il Bari in classifica di tre punti facendolo allontanare, per adesso, dalla zona calda facendogli abbandonare la quartultima posizione. Che poi, è la cosa più importante.
Da affezione psicosomatica la sensazione che si prova davanti ad un tre a zero fuori casa. Una sindrome di Stendhal in chiave calcistica, non a caso quelli del Lanciano avevano pure la maglia rossonera... un Rosso e Nero come il celebre romanzo di Standhal.
Così Torrente a fine gara: “Reazione c'è stata, la aspettavo. Non abbiamo preso gol e son contento della prestazione ma soprattutto per i ragazzi che lo meritavano. Abbiamo avuto – ha proseguito il tecnico - anche gli applausi degli avversari che han trovato un grande Bari. Penso bisogna dare più meriti a noi che demeriti al Lanciano.
Si ritorna a Bari col pensiero al derby ornitologico di domenica prossima.




16 novembre 2012

Capitolo Rosso: Quei Bravi manzoniani baresi



Adoro questa tipologia di gare, poco "sansiriane" e molto trash inteso come compagine priva di blasone - è bene chiarire - dunque con tutto il rispetto per la simpatica squadra abruzzese allenata, peraltro, dal buon Carmine Gautieri a cui auguro di salvarsi, lì dove il Bari "non può" perdere, anzi, "deve" vincere a man bassa visto lo spread storico tra le due compagini perché volete mettere, mo', il Bari dei due gol di Biagio Catalano a San Siro, di Mujesan, di Iorio, di Protti, di Joao e di Barreto, benedetto iddio, col Lanciano, per giunta pure preceduto dall’aggettivo Virtus?
E Lanciano, ennesima location beckettiana dell'assurdo calcistico, potrebbe essere “L'ultimo metrò” truffautiano per Torrente accompagnato dalle prime note del de profundis, debitamente supportate dai Bravi locali già in azione da qualche giorno.

Così impara, Dolcenera, a compiere un primo miracolo lo scorso anno quando, indossando vesti a campana di più figure professionali necessarie al metaforico orfanotrofio di Via Torrebella, ha dedicato solo i ritagli di tempo al mestiere che gli riesce meglio visti i risultati fin qui ottenuti, ovvero a quello dell’allenatore, riuscendo tuttavia a salvare la squadra dalla C e allontanarla dalla palude dell’indifferenza mista a rabbia e depressione sacrosante derivanti dalla retrocessione amara e velenosa di due anni fa, facendola arrivare addirittura decima in classifica incorniciandone il traguardo persino da qualche numero lusinghiero.
Un traguardo prestigioso conseguito quando tutti - e ribadisco tutti - tranne me la davano per spacciata, badando, contrariamente al suo credo calcistico, quello con cui ha vinto per due anni di seguito in Umbria e pressoché sempre nelle giovanili del Genoa, al sodo senza tanto spettacolo per quanto lo desiderasse anch'egli, sbagliando fisiologicamente in buona fede come Conte con il Chievo, l’Avellino e il Sassuolo ma che però, al pari delle figuracce rimediate da Perotti, Carboni, Pillon e Maran con giocatori sicuramente più esperti e di categoria quantunque alcuni fossero davvero imbarazzanti, non sono mai stati contestati e criticati al pari di Torrente, con giocatori arrivati un po' forzosamente a causa della mancanza di denari, ed altri scelti, sì, da lui ma tra un ventaglio di personale abbordabile a costo zero. 

Detto papale papale, mai e poi mai, Torrente, se solo avesse avuto qualche garanzie economica in più, avrebbe pensato di dare una seconda possibilità al desaparecidos Rivaldo nello spirito dell’autogestione proprio perché, arrivando a Bari, si trovò davanti ad una situazione diversa da come gliel'avevan descritta, pur sapendo dei problemi societari ma che mai e poi mai credeva dovesse assumere tali proporzioni, in un macramè infernale tra passaggi di tempo nell'Agenzia delle Entrate e di Equitalia, tra puntatine all'Ufficio del Lavoro e alle Procure varie, e tra mille altri problemi quando invece il solo obiettivo doveva essere rafforzare la squadra di calcio. Arrivare a Bari, per Torrente, voleva dire toccare il cielo con un dito, arrivare ad un traguardo prestigioso che gli avrebbe permesso di sbarcare in A quanto prima, mica voleva dire sedere sulla panchina del Foligno o della Ternana.

E insieme ai due acerbi, ma non per questo potenzialmente forti, Bellomo e Galano e ad altre scommesse (alcune delle quali azzeccate ma, ahimè, destinate a far ritorno alle basi a fine anno: Forestieri e Stoian su tutti) e con l'apporto d'esperienza sia pur al 20-30% di Bogliacino, De Falco, Donati, insieme a De Paula, ha allestito una squadra dignitosa accettando Bari che, lo ricordo, secondo lui, "non è un'avventura ma storia, leggenda". Ma questo, certa stampa e i Bravi lo dimenticano. O, meglio, lo sanno ma fa comodo non ricordarlo al momento opportuno dovendo trovare in fretta un colpevole.

E così impara, Torrente, ad aver fatto maturare, grazie alle domeniche passate saggiamente tra tribuna e panchina, Nicolino Bellomo, scelta non condivisa dagli analfabeti amanuensi baresi del calcio (a differenza di tanti altri che, pur storcendo il naso, han capito ed apprezzato la scelta) arrampicatisi come volpi esopiane sulle uve acerbe della discussione, e giunto, invece, ai giorni d'oggi maturo e pronto al lancio nel calcio che conta. Al pari di Romizi, Ceppitelli e di qualche altro ben gestito dal Magister di Cetara.

E così impara, Torrente, ad azzerare il gap dei 7 punti in tre partite sole, con una squadra priva pure del 20% della suddetta esperienza (Bogliacino, De Falco, Donati e De Paula) innestata da dilettanti, dalle solite belle speranze, da personale della Primavera e supportata da qualche giocatore d’esperienza ma il cui peso specifico non è esattamente pari a quello dei suddetti dello scorso anno sia pur al 20% (perché Bogliacino e De Falco han reso più o meno su quelle percentuali), ottenendo fino adesso 19 punti piazzandosi idealmente in zona playoff ma di fatto in zona playout rimanendo, adesso, senza attaccanti di peso e dovendo far affidamento alla Madonna delle Mura megalitiche di Altamura affinché il suo figliolo prediletto possa sbagliare qualche gol in meno e a qualche intuizione di Grandolfo e di Fedato che, si sa, non possono competere con gli omologhi attaccanti delle altre squadre in termini di esperienza. Ma per i Bravi "bisogna che faccia giocare Grandolfo! Diamine".

E siccome alla fine, come sempre, a vincere saranno le minoranze etniche, quei pochi che sin dall'inizio non lo hanno mai potuto digerire a causa della mia difesa ad oltranza (dunque per mero spirito di patate) e perché abbagliati ancora dalle giocate di Kamata, Swarowsky Barreto e Mr. Muscolo Almiron, non riuscendo a far divertire le loro cloache optometriche perché, secondo la loro dottrina, o ci si diverte o si caccia via, vedrete che Torrente salterà subito. In un momento - è appena il caso di ricordare - in cui gli amministratori del Bari calcio che si stanno facendo, nel vero senso della parola, “un mazzo così” (quando ci vuole, ci vuole) dopo le dismissioni dei Matarrese che attendono, forse, segnali più precisi dalla politica, sopravvivendo tra mille peripezie in autogestione, cosa unica nel panorama calcistico italiano. Con questa resa, ovvero rimanendo ancora in B e risultando, di fatto, sesti in classifica sia pur in momentanea caduta libera.

Ma la colpa è solo di Torrente. Lontano da me sperare che il Bari perda a Lanciano, cosa peraltro da mettere in preventivo, ma semmai dovesse perdere, malauguratamente, fossi in Torrente, dopo tutto quello che ha fatto per il Bari rinunciando a società più sicure e sposando la causa Bari sia per convinzione sia per sfida, abbandonerei la panchina. Si avete capito bene. Spero si dimetta e torni nei quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi, in quella Via del Campo tanto cara a Faber. Perché l'ambiente locale non merita un Signore come lui indotto ad errori fisiologici e sempre sotto pressione. Del resto, "bisogna lasciare qualcosa alle persone per farsi ricordare, per far capire che stare con me non è come stare con chiunque". Peccato che Torrente, però, per quanto ne so, essendo un Ulisse del terreno verde, dunque un combattente nato, non abbandonerà mai la nave. Semmai verrà buttato giù.

Ho la coscienza in ordine, almeno quella, visto che altre cose sono in palese disordine: nella vita ci vuole dignità e coerenza; io avrò mille difetti, diecimila lacune e non son mica certo se ci voglia coraggio perché la paura non ha mai avuto la meglio su di me sebbene, talvolta, abbia avuto il timore di cedere. E' che non ho mai rinunciato a collegare la testa al cuore. A differenza di altri. Tutto qui il mio segreto.
E poi, scusate, ma la stupidità degli altri mi affascina molto – mutuando Flaiano - ma preferisco la mia.
"Ab uno disces omnes", diceva, infine, Virgilio a proposito dei greci secondo cui bastava vederne uno per capire che eran tutti traditori e bugiardi.
E domani vado a Lanciano. Ritorno in campo. Speriamo definitivamente.

Capitolo Blu: Quei Bravi manzoniani baresi



A Bari, si sa, è sport olimpico mettersi in competizione col giornalista di turno, me in particolare, attraverso la tastiera e, nascosti da improbabili nickname, tendono, senza grande successo anzi risultando parecchio ridicoli, a screditarlo(mi) attraverso storie fasulle costruite a dovere come quella dei panzerotti che avrei consumato con Torrente, oltre che insultarmi ed offendermi perché incapaci nell'interloquire civilmente col sottoscritto; ed è soprattutto sport olimpico saltare su e giù dal carro dei vincitori.

Prima, lo scorso anno, i Bravi baresi ne sono scesi delusi dalla retrocessione e dai tradimenti di quattro balordi, poi, timidamente, in un estremo cialtronesco gesto di coerenza, piuttosto che salirvi alle prime striminzite vittorie e ai primi risultati prestigiosi di Torrente a Torino e contro la Sampdoria o a Genova in Coppa Italia (mi piace chiamarla così e non storpiarla in timcup), si sono aggrappati come quei ragazzini baresi nemmeno decenni - si ricorderà - in canottiera dietro le filovie che conducevan a Carbonara fino agli anni 70 scendendo definitivamente all’altezza delle prime ville patrizie in stile liberty disseminate qua e là sulla “via di Carbonara”, oggi nascoste dalla globalizzazione, e dove le famiglie baresi dal nomen gentilizio importante di fine ‘800 inizio ‘900 si rifugiavano per respirare aria pura quando in città si soffocava.

Si tratta di personaggi che, dopo essersi immortalati in qualche instagram ipocritamente rappacificatore ad Alfedena e subito pubblicate su facebook, dopo quante gliene hanno dette al povero Torrente nel corso dell’anno trascorso, son risaliti sul carro ad inizio anno per "la maglia, per la birra, per la città", salvo, poi, riscendere di nuovo adesso a causa dei "cambi sbagliati", come se tra Fedato, Grandolfo, Ristovski Hysembelliu, meglio conosciuto sotto il nome di Fatmir, e Partipilo ci sia un abisso di differenza. Oppure criticando l’uso di Defendi che è arrivato a Bari nel "pacchetto" Masiello e che starà pure subendo un periodo di indubbia involuzione, ma ai grezzi amanuensi sfugge il piccolo particolare che coi suoi 28 anni garantisce, forse, un certo peso specifico in termini di esperienza avendo incasellato circa 200 partite in B. Come Claiton: non farà la differenza in difesa non essendo un fuoriclasse, ma garantisce un minimo di esperienza necessaria là dietro in una squadra garibaldina che, a detta della società, non solo non verrà rinforzata a gennaio ma addirittura, per sopravvivere, dovrà, forse, privarsi di qualche giocatore. Ma nell'analfabetificio mediatico-giornalistico volto a cercar il capro espiatorio ad ogni costo, la colpa è sempre e solo di Torrente.

Puntuale, dunque, come un orologio svizzero ecco che s'ode il primo scoccar del cronometro che segna l'inizio del travaglio dell'allenatore, già bello e infilzato nel girarrosto mediatico barese in quanto unico responsabile del male del calcio locale. Sicché come una bomba ad orologeria dei film di James Bond, allo scoccare dello "00-00" visualizzato sul display del cronometro, Torrente verrà indotto ad abbandonare. Ormai qui a Bari funziona così. E di esempi ne potrei fare molti, non ultimo Ventura costretto a dimettersi per la terza volta (e definitiva) a gennaio dal rumor sinergico tra tifosi esagitati e stampa, mica per voler di Matarrese che respinse ben due volte le dimissioni volontarie a ottobre e a novembre 2010. Come noto: ma a loro forse non era noto. Fermo restando che, secondo me, pur rispettando i giudizi negativi (ma non condividendoli) di taluni tifosi nei suoi confronti e pur sorvolando sull'antipatia di taluni verso l'ex tecnico quali motivazioni sufficienti per spodestarlo, Ventura andava sollevato dall'incarico sin da novembre, come ho sempre scritto pur difendendolo dalle ingiuste critiche di parecchi tifosi che lo vogliono per forza coinvolto nel calcio scommesse, a differenza della giustizia. 
A Bari la simpatia è parente alla goccia. Dicitur nella suburra barese. E qui si vive di simpatie ed antipatie. Mica si valuta il lavoro o si analizzano le scelte. Del resto all'ateneo di Conversano i docenti spiegano così il calcio. Conversano non è Coverciano quantunque la radice etimologica possa sembrare identica.


Capitolo Bianco: Quei Bravi manzoniani baresi

                                                               La Luna nei miei stadi


A prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi”. Così scriveva Alessandro Manzoni seduto nel suo studio con vista sul celebre ramo del Lago di Como che volge a mezzogiorno quando descrisse il rustico ciarpame soldatesco che difendeva i feudatari campagnoli dell’Italia del Nord, meglio conosciuti nel romanzo più importante della Letteratura Italiana dei Promessi Sposi come i Bravi.
Gli stessi Bravi, tutt'altro che comasco-lecchesi - diciamo maldestramente levantini - che con puntualità svizzera, han cliccato sul cronometro che sancisce il countdown per Dolcenera Torrente. 
Domani pomeriggio, a proposito di letteratura italiana, in terra più o meno dannunziana, sugli ameni colli teatini dalle parti di Lanciano, se il Bari dovesse malauguratamente perdere, i Bravi mediatico-internauti baresi lo faranno virtualmente saltare: tutt'al più attenderanno in extrema ratio il mezzogiorno (e mezzo) di fuoco sergioleoniano della domenica successiva allorquando il Bari se la vedrà col Modena nel derby ornitologico per eccellenza (galletti contro canarini) nella landa bitrittese abbandonata da dio e dagli uomini tra la via Appia-Traiana e il West, là dove l’humus agreste e bucolico ha preso definitivamente, prepotentemente e, soprattutto, infruttuosamente, il posto di quell'aria spensierata pregna di iodio e di maestrale misto all'acre odor di piscio e cemento che trasudando dai muri, spirava sui gradoni del Della Vittoria, Tempio Dorico del Dio Pallone, pronipote di Iuppiter, di un calcio antico, color Mujesan, pulito e genuino che alla sola idea di riaprire i battenti a questo sporco calcio moderno proposta da qualche audace personaggio locale, diciamo poco incline alle letture della Historia Barensis del Tateo o alle segnalazioni descritte sulla Tabula Peutingeriana o, se preferite, a quelle spiegate all’Ecole Barisienne del mio amico Beppe Vacca, si ribella con tutte le sue forze mostrando i muscoli peuceti, messapi, bizantini, angioini e francesi affinché questo calcio trainato da Bravi manzoniani italioti e seguito con particolare attenzione da nani e ballerine viziati amanuensi di siti carnascialeschi trasudanti di luppolo, questo calcio volgare, bastardo, e in odor di malavita, non entri mai entro quel perimetro ellittico. Per nessuna ragione. Il Tempio Dorico di Viale Maratona, canuto come nessun altro, saggiamente, vuol continuare a vivere serenamente gli ultimi anni che gli rimangono coi soli ricordi, gli unici per i quali si mantiene ancora in piedi.

Dunque, se domani a Lanciano al cambio di Fedato per Pelè-Ibraimovich-Grandolfo (Francesco, che è un bravo ragazzo che sa usare il congiuntivo e che sa parlare come pochi, oltre ad essere un bravo giocatore ha, in realtà, tre nomi), o viceversa, non effettuato o effettuato tardivamente, o se Torrente perseguirà nel far giocare Defendi che, se non ricordo male, secondo la plebaglia webbaiola (non leggo più i forum da mesi)  “porta sfiga” piuttosto che Aprile il quale chissà per quale arcano motivo non viene considerato da Torrente al grido "e ci u hann pigghiate a fa???" senza conoscere i reali motivi, o Sabelli appena rientrato dalla Nazionale e quindi stanchissimo – motivi, questi, decisamente sufficienti per i cospiratori per metterlo sulla graticola - dovesse corrispondere la quarta sconfitta consecutiva, potrebbe scoccare la sua ultima ora in quanto i Bravi levantini baresi, che già mal lo digeriscono, prenderanno a pretesto il cambio non effettuato di Fedato o la scelta di Defendi, perché, diciamocelo, la chiave della sconfitta sarà esclusivamente attribuita a questi cambi. 
Un po' come lo scorso anno quando le prime cellule dei Bravi baresi immatricolate, oggi perennemente fuori corso, all’Università di Conversano che, notoriamente, di calcio non hanno mai capito un tubo, cavalcando l'onda dell'analfabetizzazione mediatico-giornalistica travestiti da tifosi nella loro cialtronesca singolar tenzone contro il sottoscritto, lo accusavano per il mancato gioco espresso trovando le cause nei mancati cambi tra Defendi e Stoian o tra Caputo e Bellomo. 

Non mi rivolgo ai critici convinti e civili ai quali, anzi, stringo la mano pur non condividendone i loro motivi, ma chissà se i suddetti frustrati analfabeti del carrozzone del calcio italiano malato dove il migliore personaggio è un autentico maleducato permaloso ed il peggiore è un delinquente analfabeta, pezzente arricchito, ma espertissimi a digitare periodi preconfezionati di ipocrisia e falsità, avranno notato che l'uso centellinato tanto discusso dai Bravi degli stessi giocatori ragazzini sbarbati da parte di Torrente presi e lanciati come paracadutisti sul campo dolomitico di Borno, lassù, in Val Camonica senza, magari, nemmeno aver salutato i propri cari, ora giocano l'uno in serie A col Chievo e l'altro è diventato il trascinatore del Bari perché nessuno come Bellomo riesce ad impersonare il Masaniello per questa squadra, oltre ad aver fatto entrare nelle casse esigue della società tanti bei soldini serviti per iscriversi al campionato in corso altrimenti domani si sarebbe giocato a Poggiorsini (seppure) e non a Lanciano. 

Forse non se ne sono ancora accorti questi signori grezzi, ebbri di mediocrità, grillini impazziti al pari dei più quotati Bravi manzoniani discendenti di Gutenberg. Del resto la mediocrità, mista alla falsità e all'ipocrisia, col solito pizzico di malvagità, malizia, furbizia e bastardaggine, fa bene a certe persone. L'abitudine le rende sicure, le fa sentire protette. Ed io che accomuno la mente al cuore a differenza loro, e dunque non parlo attraverso le sole intermittenze coronariche che pure battono biancorosso, son contento per loro. Soprattutto adesso che, puntualmente, hanno cambiato idea - o han fatto finta di cambiarla - dando l'impressione di supportare il tecnico campano almeno fino all'ultima vittoria.