29 novembre 2011

Bari: ritorno al passato nel Piceno tra le sue malinconiche bellezze


Perdere ad Ascoli Piceno per il Bari ci sta pure; e non sarà un caso che su 21 incontri fin qui disputati, dal 1965 ad oggi, nello splendido set cinematografico naturale marchigiano in cui Pietro Germi diresse Alfredo, l'impiegato infelice interpretato da "Papillon" Dustin Hoffman, la squadra barese abbia perso per ben dieci volte, pareggiato otto e vinte appena tre, due delle quali, peraltro, solo in Coppa Italia ed una sola in Campionato (gol di Colombo), ma perdere così, in maniera abulica, facendo solletico in attacco, col solo Galano - esterno di destra - ad accentrarsi per tirare in porta in modo peraltro debole e centrale, no.

24 novembre 2011

Il Bari e gli epigoni


Bene. Assodato che chi doveva accattivarsi le simpatie di quelli della Meleam lo ha fatto ben bene descrivendo la cronaca cialtronesca - minuto per minuto - della trattativa quasi fosse un infiltrato speciale mandato lì in veste di Messia pre-murgiano col pretesto di evangelizzare ma, di fatto, con l'obiettivo di attirarsi le attenzioni dei soliti amanuensi virtuali cronicizzati - a ragione - dal cambio di dirigenza, e visto, altresì, che insieme al figurante "Innominato" manzoniano, in precedenza mascherato sotto le mentite spoglie di un dissuadente e bastian contrario Don Rodrigo, e da qualche tempo a questa parte persino da Masaniello incontrastato dei siparietti tardomelodici radio-televisivi addolciti dalle più spocchiose calzature banderuolensi in cui, tradizionalmente, due piedi entrano in una sola e rigorosa scarpa perchè "non si sa mai", e col sospetto metafisico per cui, finanche altri personaggi simili al celeberrimo punteruolo rosso che tanto male fa ed ha fatto, magari inconsciamente, alle palme matarresizzate baresi mostrandosi a piè di lista in rigoroso ordine e disciplina, quasi fossero tasti scalanti ordinati di un pianoforte, han tentato di penetrare nelle maglie neofite della società angioina pur senza conoscere al momento, per la verità, con quali risultati anche se confido - essendo a Bari e non a Sondrio - in una salita sul carro societario immediata, credo che ormai siamo davvero alla fine. Sicchè questa benedetta trattativa, secondo taluni, già conclusasi da qualche giorno, e portata avanti da personalità manageriali supportati da mecenati gotici o giù di lì, dovrebbe essere conclusa.

15 novembre 2011

Giampiero Ventura, altre curve della memoria e i panzerotti


Faceva freddissimo nella mix-zone dell'Olimpico ubicata, tra l'altro, fuori all'aperto, ad un metro dal terreno verde, sotto la tribuna d'onore laddove una volta c'era la pista di atletica, e il freddo si sentiva tutto. I 3 gradi che riportava impietosamente il mio IPhone c'erano tutti. Fortuna che mi ero attrezzato con l'abbigliamento.
Ancor prima di salutarmi mi chiede se per caso gli ho portato i panzerotti, in effetti terapeutici l'altro ieri, nella serata torinese vissuta all'addiaccio. “Addò a mascì senza panzerotti, Massimo?”, mi domanda Giampiero Ventura da Genova in un dialetto poco probabile, misto al solito slang deandrè-fossatiano, da quei quartieri profumati di pesto dove il sole del buon dio, quando Giove e Pluvio decidono d abbattersi sul capoluogo ligure e dintorni - chissà per quale recondita ragione - non dà mai i suoi raggi di sole.
Un abbraccio forte, un saluto sincero, una pacca sulla spalla, un sorriso di chi sa di aver trovato un amico, oltre che (son parole sue) “un bravo giornalista, un giornalista alternativo”. Inizia così l'incontro con Giampiero Ventura che, dopo quello con Livio Manzin, mi ha fatto toccare apici emotivi indescrivibili. Poi il Toro contro il mio Bari, un pareggio insperato – e forse non del tutto meritato se penso al gioco espresso dalle due squadre – ed una giornata tricolore torinese, vissuta tra una cioccolata calda, rigorosamente e gianduiottamente talmone, hanno fatto il resto.
Ringrazio il capo ufficio stampa del Torino, immortalato nella foto tra me e Giampiero Ventura, per essere rimasto fino alla fine (credo fosse circa mezzanotte e mezza) per me.

Livio Manzin e le curve della memoria (e dei ricordi)


Incontrare Livio Manzin vuol dire percorrere una curva della memoria, una di quelle piacevolmente fatali per la nostalgia, una curva gravitante nella statale di un passato vissuto, intenso, ma che nessuno ci renderà, una curva sanamente malinconica.
Un volto da uomo buono, semplice, umile che ricordo ancora con nitidezza nonostante all'epoca si nascondesse, senza grande successo, dietro i suoi celebri ciuffi neri anarchici e quei baffi anni '70 - alla Gringo di Sergio Leone - lunghi e fini, diventati ormai un cult per quelli come me che frequentavano sin da quasi un ventennio, domenicalmente, il Della Vittoria, baffi nel frattempo divenuti più “anni 2000”, dunque curati, ma canuti al pari dei suoi pochi capelli, quel fisico tipico di calciatore con un andamento felpato da ex centrocampista nonostante l'inevitabile pancetta che, a dirla tutta, nemmeno tanto di intravede, un uomo capace di trasmettere una straordinaria sensibilità mista alla tradizionale freddezza nordica stemperata, però, dal suo affetto; fisiognomica tradita dai suoi racconti nei quali narra una vita (la sua) piena di sacrifici, vissuta nel focolare domestico tra l'affetto di un padre operaio nella Fiat che non poteva donargli quel benessere che molti adolescenti di oggi, invece, ricevono un po' troppo generosamente, incautamente e, magari, anche troppo frettolosamente quand'anche la famiglia, spesso e volentieri, non possa permetterselo, affetto ricevuto anche dalla mamma istriana dell'epoca di Tito, una vita, però, fatta anche di tante belle soddisfazioni tra calcio, famiglia (figlia nata a Bari) e lavoro post-calcio.

9 novembre 2011

Moggi: confine tra etica e passione


La condanna, sia pur di primo grado, di Moggi non depone bene per quelli della Meleam che pure sta conducendo benissimo la trattativa con i Matarrese. Finalmente, aggiungo, dopo tanti pagliacci. Infatti, stando a quanto scritto su più fronti, sarebbe emerso che la dirigenza della società di servizi bitontina avrebbe fatto leva sull'ex DG della Juve per rilanciare il Bari, sia pur sottotraccia. 

E messo e non concesso che la stessa società abbia pronti quei 100 milioni di euro per rilanciare il Bari (perché - è inutile che ci nascondiamo - ce ne vogliono grosso modo tanti, tra debiti regressi, debiti attuali, pignoramenti vari da saldare e un minimo di investimento: per altre cifre minori sarebbe tutto inutile, anzi, si cadrebbe dalla padella nella brace), dove comincerà il confine tra etica e passione per i tifosi che pure hanno sofferto tanto semmai quelli della Meleam dovessero decidere di affidare ad un pregiudicato quale sarebbe, appunto, Moggi, la gestione della Società gloriosa del Bari calcio la quale, sebbene non sia mai decollata per la cattiva gestione dei Matarrese, è sempre stata - se non altro - integerrima e lontana da ogni sospetto di malaffare?

POCO EQUILIBRIO DEI TIFOSI NELLE VALUTAZIONI, SECONDO ME, TROPPO AFFRETTATE


D'accordo. Il Bari non ha giocato benissimo. Giustificato (ma fino ad un certo punto) il malumore contenuto e civile della tifoseria: però qualcuno vorrà spiegarmi come mai, quando si vince a Grosseto traspare un certo entusiasmo al punto che si parla di playoff esorcizzando, persino, d'incanto i due punti di penalità e facendo passare tutto, malumore, sentimenti antiTorrente ed antimatarrese come una chemioterapia, mentre se perde in casa col Verona per una disattenzione ed un primo tempo - a mio modo di vedere - tra i più brillanti e più vivi dell'intero torneo, traspare lo sconforto.

Insomma: io credo che, infondo, chi accusa i tifosi baresi di essere contraddittori e non all'altezza di grandi palcoscenici, non abbia, poi, tutti i torti. Credo altresì - ma questo lo vado dicendo da sempre inimicandomi grossa parte della tifoseria ma nessuno ancora è riuscito a smentirmi - che ancor prima di cambiare dirigenza occorre che cambi la mentalità dei tifosi, forse troppo attaccata a stereotipi passati che fanno solo male al sol pensarci. O forse perchè si è ancora troppo provinciali, non saprei, fatto sta che quando si sta lì per spiccare il volo della maturità in cui è prevista anche la sofferenza (anche i tifosi del Milan e della Juve, a loro modo e per altri motivi, soffrono pur non avendo la sfortuna di avere avuto una presidenza come la nostra), ecco che si materializza la solita mentalità del tifo barese. Intendiamoci, non sparo nel mucchio, ma a quanti manifestano il sacrosanto (perchè è sacrosanto e giustificabile) malumore lanciando accuse ad uno e poi all'altro.

2 novembre 2011

Grosseto parrà, finalmente, la sua nobilitate? Oh, maremmina maiala...


C'era il sole a Grosseto. La giornata era tersa, luminosa, calda, le foglie ingiallite dell'autunno giacenti per terra, tradivano un aspetto tipicamente primaverile. Nel giorno in cui santi e morti si tenevano la mano distanziati solo dallo iato pagano-criatiano di un momento quasi di festa colorato da qualche pezzo di carta gettato per terra nella notte tra un dolcetto ed uno scherzetto, le aspettative per la partita sembravano di quelle giuste, lontane dalle nebbie novembrine che coprono, generalmente, la Maremma di questi tempi. Anche la sconfitta con il Pescara, come da tradizione, ha fornito l'assist per una speranza di vittoria. Così è stato di fatto.

Una vittoria che avevamo previsto soprattutto dopo il ko col Pescara, una vittoria come ormai nello stile di questo Bari in rodaggio, striminzita ma non per questo immeritata: un golletto sul finire del primo tempo di Ciccio Caputo da Altamura apparso buono come il celebre pane delle sue parti (magari irrorato di un propedeutico strato di skuanta dal sapore forte come non mai), un golletto luminoso come il fanale di un boeing errante nei cieli bassi tra Civitavecchia e Tarquinia che ha già preso di mira la pista di Fiumicino in attesa di atterrare, un golletto che ha ripagato il nostro viaggio effettuato fino in Maremma per catturare sentimenti, idee, attimi, un “angulus” pallonaro oraziano capace di far capire che, infondo, ce la si può giocare con chiunque fino alla fine.