14 giugno 2011

Bari calcio: tra Montale e Guccini ecco la poesia di Garzelli

Articolo per Go-Bari14/06/2011

Il nuovo Amm. Delegato avrà pieni poteri? Occorre rinsaldare la frattura con la tifoseria che il 18 prossimo scenderà in piazza

"Dio è morto", avrebbe detto Guccini di cui oggi ricorre il suo genetliaco. Macchè: Dio non ha avuto nemmeno il tempo di morire che già è risorto dalle stanze nicolaiane ieri pomeriggio, intorno alle 18,30, allorquando, tra un quorum referendario raggiunto ad occhi chiusi e una forte speranza della ripresa politica, è apparso un essenziale comunicato stampa che ha decretato il disimpegno di Vincenzo Matarrese. Dio è risorto, dunque, nei giocatori presi a rate, nei debiti rateizzati, nelle vacche magre societarie e nel periodo gramo che si prospetta.
E mentre la politica italiana riprende quota sospinta dai venti di una innocua rivoluzione popolare decretata dalla gente stufa di ascoltare le solite barzellette pubbliche erotiche del presidente del consiglio, nel Bari calcio, ormai ridotto ad un oggetto inanimato, privo di vita e logorato dal tempo, si intravede una luce fioca, una fiammella accesa dalla candela familiare del buio pesto matarresiano che, come i gamberi della grotta Zinzulusa, non vedono, non sentono e nemmeno parlano: sembrano non esistere, insomma. Al posto di Don Vincenzo e del Dio tutt'altro che trapassato gucciniano, il CdA del Bari calcio ha conferito pieni poteri a Claudio Garzelli con gli intenti di traghettare la società verso lidi meno infernali di questi e di valutare seriamente anche proposte di cessione. Un dirigente deus ex machina capace come pochi di muoversi nei pertugi societari in un'epoca in cui mancano il dialogo e progetti ambiziosi. Un uomo, Garzelli, che come in "Ossi di seppia" di Montale, lancia chiari messaggi su ciò "che non siamo e ciò che non vogliamo", mettendo in ben evidenza, apotropaicamente, la condizione esistenziale ultimamente negativa della società del Bari calcio e su come intende uscirne.
Del resto con un presidente (Vincenzo) che in seno alla famiglia - come noto - ha sempre contato poco e nulla, (ricordiamo le lacrime, sincere, in occasione del Centenario quando suo fratello Antonio lo umiliò davanti a tutti precisando che lui era l'unico fratello non laureato), logorato da decenni di gestione calcistica vissuti sotto l'ombra della famiglia a cui, spesso e volentieri, rimandava ogni decisione importante, tra improvvisazione, contestazioni e occasionali momenti di gloria, non si poteva fare di più. L'idea di dover tirare avanti un "treruote" paesano come quello dell'inaffidabile zio Michele Misseri, sbullonato e senza marmitta, pieno di frutta di stagione colta in campi tutt'altro che bucolici da rami di alberi fradici e incolti, per poi essere messo alla gogna dai tifosi come in un autodafè spagnolo, non deve averlo esaltato più di tanto: meglio abbandonare. Giustamente.
Occorre, tuttavia, capire - portafoglio a parte che non gli competerà - di quanta libertà potrà godere Garzelli, quali i suoi raggi d'azione, quali le sue competenze dal momento che all'interno rimarranno comunque alcuni familiari riconducibili alla proprietà, oltre al fiato perpetuo della stessa che di fatto rimarrà seduta sul trono come Minosse a Creta. Noi, ovviamente, gli auguriamo di diventare il "Galliani" biancorosso e non un clone di Ghirelli o di Regalia.
Perchè Garzelli, oltre il suo obiettivo, potrebbe tentare di capovolgere l'atteggiamento in base alle poche certezze trovate sulla sua scrivania: sul destino del Bari - ma soprattutto su quello dei tifosi -  incombe, infatti, il male di vivere, l'arte dell'arrangiarsi, l'autogestione di stampo liceale-universitario di vendittiana memoria in "Compagno di scuola" (la sera del 18 giugno, infatti, è prevista una manifestazione pacifica a Piazza del Ferrarese contro la famiglia organizzata dai siti dei tifosi OrgoglioBarese e Solobari), tutto quello che, sempre a proposito di Montale, lo stesso poeta definisce Divina Indifferenza in quanto non mostra alcuna partecipazione emotiva da parte dei tifosi. Il Bari, ormai, è come il celebre osso di seppia, metafora del relitto che il mare, col tempo, tende ad abbandonare sulle spiagge invernali, le più belle in assoluto, una società eterna incompiuta come lo Stadio della Vittoria, come quelle opere iniziate e mai terminate dall'uomo, come una poesia lasciata a metà, come una canzone senza il finale, come una frase d'amore mai detta, come una gioia strozzata.
Ecco da dove il neo Amministratore Garzelli dovrebbe cominciare a lavorare: non tanto dal reclutar "ragassuoli" trainati da allenatori giovani e bravi che pure ci stanno in un contesto di resettamento del prodotto volto alla ricreazione dell'entusiasmo, quanto dalla ricucitura tra tifosi e società da sempre irta di difficoltà conciliative - lui che di conciliazione ha dato dimostrazione, ultimamente, di saperci fare - una precarietà del tifo sfiduciata dai colori biancorossi e che necessita di un elettroshock rivitalizzante i cui effetti, a quanto pare, con l'uscita di scena di Matarrese non hanno sortito efficacia tanta è l'immunità nei tifosi.
Ci piace di Garzelli l'umiltà, l'abnegazione e la sicurezza silente con la quale affronta le avversità, con un linguaggio tipicamente poetesco al quale lo stesso neo Amministratore Delegato sembra affidarsi con toni decisi ma pacati per la sua analisi sulla società, un'analisi decisamente negativa e per nulla rosea in prospettiva ma intrisa di quella giusta dose di non rassegnazione, di ottimismo, di speranza, quasi a voler attendere un nuovo boom economico anni '60 nel Bari calcio post bellum. Lavoro che, purtroppo, affronterà sempre attorniato probabilmente da personaggi ambigui, da tamarri autorevolmente ibridi nel contesto biancorosso che, come abbiamo scritto recentemente (e male interpretato dalla società del Bari) nulla hanno a che fare coi dipendenti, dirigenti e funzionari della stessa.
Speriamo che Garzelli liberi la sua mongolfiera di zavorra inutile zeppa di meschinità, di falsi miti e di falsi dei, di falso moralismo, dell'imperante ipocrisia e del becero edonismo tipico di chi gravita al piano terra del San Nicola alla ricerca della speculazione con falsi ed ipocriti sorrisi. Un Garzelli, dunque, guida spirituale, un Dalai Lama improvvisamente vestitosi di biancorosso che accogliendo incompiutezza, incapacità gestionale, debolezze e fragilità ereditate da ridicole gestioni precedenti, tenterà di rimiscelarle con nuovi ingredienti, speranzosamente alcolici quanto basta, affinchè si possa servire nei calici dei tifosi - si spera presto - un cocktail di freschezza calcistica mista ad entusiasmo.
In attesa che il Dio, metaforicamente parlando, muoia e risorga davvero. E stavolta per sempre. Auguri di buon lavoro al Dottor Garzelli.
Massimo Longo

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