24 ottobre 2011

A Castellammare, tra biscotti sulfurei, sacro e profano...

A Castellammare, tra biscotti sulfurei, sacro e profano, rosso pompei e altre sciocchezze


Chi arriva per la prima volta da queste parti rimane gradevolmente sorpreso da molte cose: quella curiosità tipica di chi, come noi, ama questo tipo di trasferte, "prime" assolute nella storia ultracentenaria del Bari (stavolta da semplici spettatori paganti), è stata accompagnata piacevolmente da visioni vagamente callimachee che son partite dal mare celeste col suo vasto orizzonte appena contaminato da sagome brune trapezoidali rimandanti ad Ischia e Capri, e col suo celebre panorama che spazia dalla riviera salernitana fino a Posillipo, con sua maestà Vesuvio innalzato lassù come un grattacielo-pirelli, versione stabiese, passando con qualche fisiologica difficoltà nel traffico contenuto, e mai baresamente anarchico, della cittadina termale (peraltro ben descritto in una celebre canzone di Pino Daniele "Che soddisfazione"), percependo un discreto senso civico da parte dei cittadini, un senso civico notevole misto ad una sorprendente pulizia se si pensa al contesto, notoriamente e cronachisticamente, descritto in maniera opposta.


Quella sensazione di attesa, tipica di una partita come queste, che ha alimentato il nostro appetito grazie anche al propedeutico profumo dei celebri biscotti di Castellammare, misto ad anisetta, che insieme a vetrine piene di gustosissimi e giganteschi babà al rum, non ci hanno lasciato affatto indifferenti. Un profumo che abbiamo sentito sin dal costone Varano, luogo di origine di Stabiae, distante dal mare un chilometro abbondante ed una volta lambito dallo stesso (così come la nostra Via Venezia e le sue mura negli anni venti, per intenderci), costone sul quale sorgevano straordinarie ville romane, bellissime e addobbate da muri rosso pompeiano, come quelle che abbiamo visitato di San Marco e Arianna, e da dove gli abitanti dell'epoca avevano l'opportunità di osservare un panorama davvero unico, come nello stile dei vacanzieri d'epoca che sceglievano queste ville per la villeggiatura. Non lo stesso, piatto e monotono, che si osserva dagli spalti del San Nicola, del resto.

Un mix di umori e sapori che ben si sarebbero mescolati nello shaker del match di ieri in un contesto tipicamente da Serie B, quella di una volta: a guardare la variopinta Piazza dell'Orologio di fronte alla Capitaneria di Porto, ultimamente teatro di serie problematiche sindacali e lavorative, il pensiero è andato inevitabilmente - ma soprattutto dicotomicamente - a Piazza Duomo a Milano, a Piazza della Signoria a Firenze o alla bellissima Piazza del Liotru a Catania: realtà, ahinoi, diverse e contrarie, stampate nitidamente come icone bizantine incastonate nei pertugi della nostra mente. La differenza era tutta qui. Nel pensiero. Ma anche nelle fisiognomiche della popolazione: quelle facce di simpaticissimi giovani scugnizzi sorridenti, felici della vita, dalla carnagione scura uniti dal comun denominatore locale del sacro e del profano tipico di queste parti che vedono nell'azzurro di Maradona e di Cavani le uniche fedi in cui ci si deve votare (oltre che alla snai) nei momenti di preghiera, quelli che quando li vedi ci scommetti centomilioni che sono nati sotto le pendici del Vesuvio (dove, in quale località, non ha importanza: il DNA è sempre lo stesso da Torre Annunziata a Sorrento). E nemmeno la celebre acqua della madonna, sorgente stabiese scoperta nel 1841, ha potuto far miracoli. Noi, che pure, abbiam provato a berla... macchè.

Un Bari, a vederlo giocare soprattutto nella ripresa, somigliante all'aria solforosa della celebre eruzione del 79' A.C. nella quale, a causa dei fumi pregnanti nell'aria, trovò la morte Plinio il Vecchio rifugiandosi sul litorale stabiese in un tentativo inutile di farla franca, morte descritta amabilmente da suo nipote Plinio il Giovane per volere di Tacito il quale non perse l'occasione per dedicare un capitolo a parte nei suoi celebri "Annales".

Un Bari, ieri, davvero inguardabile, che ha prestato il fianco ai stabiesi i quali col cuore, con l'impegno e con la grinta tipica delle squadre modeste di B, ha avuto la meglio senza peraltro strafare. Del resto, in una B modesta i risultati si ottengono così e non con la presunzione o, peggio, saltando l'uomo. Un Bari abulico, spento come il Vesuvio dirimpettaio quasi fosse lì, come uno spettatore "portoghese", uno dei tanti che abbiamo visto affacciati dai balconi dei condomìni adiacenti al "Menti" di cui, francamente, ne avevamo perso traccia (gli ultimi che avevamo visto furono a Rende... tanti anni fa), essendo stati abituati ad altri target di stadi; un Bari che dopo le eruzioni vulcaniche, invero, tutt'altro che disastrose degli ultimi tre anni, solo nel primo tempo aveva emesso quel timido pennacchio fumoso dal cono ombroso del suo modulo tanto inutile quanto ben visibile sia da Avellino, ma soprattutto dagli spalti, e assolutamente privo di efficacia.

Sic transit gloria Barium? D'accordo il fallo dubbio per il quale è stato concesso il rigore, forse troppo frettolosamente e a causa del ribollire dello stadio come una solfatara puteolana che pure ci può stare in un contesto come quello di ieri a Castellammare ma, diamine, non è ammissibile che Donati, autentico spauracchio per le squadre di B (a sentirli, tutti giocatori del torneo di B, non fanno altro che indicarlo come primo in una ideale scala di preferenze misto a vago timore), debba inciampare in uno stile poco consono al suo appeal: applaudire sarcasticamente arbitri e quant'altri, sono azioni che, tutt'al più, è lecito attendersi da giocatori di terza fascia e non da uno che ha giocato ed incantato in Inghilterra e nel Milan (oltre ad essere strapagato dai Matarrese). Così come non è possibile non rendersi nemmeno una volta, una sola volta, pericolosi in area giallonera nel secondo tempo. Infondo, sia pur tra mille problemi, è sempre "il Bari" a giocare sul sintetico di Castellammare, mica il Gubbio, con tutto il rispetto per la squadra umbra, dove, a naso, prevediamo un'altra sconfitta il giorno della Befana.

E adesso non resta che far rifiatare una buona metà dei giocatori i quali, dopo 11 giornate, non sono riusciti a convincere. Crediamo sia giunto il turno di gettare nelle Termopili della B i vari Bellomo, Galano, Scavone, Defendi e Koprivec col loro spirito e con la loro voglia di mostrarsi, perchè se Bogliacino non ha ancora trovato l'alba dentro l'imbrunire, se Donati continua a giocare a subbuteo in campo con l'aggiunta del suo desiderio di sarcasmo Petroniano quasi il terreno di gioco fosse un circolo neoterico imperiale romano, se i difensori che dovrebbero tutelare la retroguardia sono, l'uno, alto 2 metri e mezzo (Borghese), ancora poco agile nei movimenti, e l'altro pesante un quintale (Polenta) che nelle movenze appare molto lento, se il portiere non dà garanzie alla difesa, se i rifinitori sono degli autentici egoisti e, in quattro anni sin dai tempi di Conte, non hanno ancora capito che saltare un avversario non basta a produrre gioco (Rivas), se il centrocampo è composto da personale abulico e senza nerbo, ma soprattutto senza barometro (De Falco e Donati), se De Paula si limita a sacrificarsi e non, invece, a puntare la porta avversaria, e se in attacco si confeziona solo un'occasione nitida in 100 minuti che non sempre può far pendant col gol, beh, allora crediamo fermamente che il tempo a disposizione sia scaduto per costoro. Occorre salvarsi in B prima di tutto. E per salvarsi serve una sferzata notevole.

Il condottiero Torrente, di casa da queste parti, nulla può dal momento che oltre a parlare senza tanti giri di parole (anche per questo ci piace assai), ha il coraggio di ammettere coram populo di aver messo fuori chi non gli dà garanzie "per scelta tecnica", frase quasi mai ammessa da precedenti allenatori che preferivano uscite più diplomatiche. E se gli uomini sono fuori di testa e non hanno voglia di partecipare alla causa, pur comprendendone i plausibili motivi (forse per il momento burrascoso societario), allora dentro le seconde linee. Del resto a Gubbio, per ben due anni, Vincenzo Torrente, esordiente in panchina quantunque sotto l'egida di Simoni, ha incantato con soldati meno noti di questi raggiungendo ben due promozioni storiche. Non a caso.

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