10 settembre 2011

Bari: un caffè amaro al Pedrocchi

Editoriale per Go-Bari 10/09/2011

Seconda sconfitta per gli uomini di Torrente sotto l'ombra di Sant'Antonio che evidenzia tutti i limiti strutturali della squadra ma anche le qualità che, pian piano, usciranno fuori

Padova – Il Bari perde ancora. Stavolta, però, sotto l'ombra di Sant'Antonio, seduto ai tavolini del Caffè Pedrocchi, sorseggiando una prestigiosa e storica tazzina amara. Capita, non è una novità per il Bari. Tuttavia nulla di preoccupante, intendiamoci: la squadra (nuova di zecca) è in chiaro rodaggio e necessita di quel tempo fisiologico per assimilare certi meccanismi dettati dal suo profeta ex eugubino Torrente.
Il Padova, come altre società, è la dimostrazione vivente di quanto sia importante cominciare un progetto sin dall'inizio, ovvero sin dalla data del ritiro, così da poter assimilare, all'unisono, la dottrina di ogni allenatore, nella fattispecie di Dal Canto: al Bari, purtroppo, tutto ciò non è avvenuto. Noi di Go-Bari, come dimostrano i precedenti articoli, lo abbiamo sempre sostenuto sin da tempi non sospetti. Il Bari, al di la di fisiologici carenze strutturali riscontrabili soprattutto in attacco, paga lo scotto della mancanza di amalgama dovuto, evidentemente, all'arrivo a singhiozzo di quei giocatori di qualità tanto richiesti e pretesi dall'allenatore biancorosso. 
Infatti i vari Bogliacino, De Falco, De Paula e Crescenzi che, in qualche modo, hanno elevato il coefficiente qualitativo della squadra barese, sono arrivati alla spicciolata, quasi fossero le ultime forchettate di un piatto di bigoli al sugo d'anatra, che da queste parti, insieme alla faraona, è strepitoso.
Intendiamoci: non ha affatto sfigurato la squadra di Torrente, nonostante si sia assistito ad una partita senza (quasi) nemmeno un tiro in porta da una parte dell'altra. A tratti il gioco del Bari, soprattutto nel secondo tempo, è risultato bello, vivace, intraprendente e finanche colorato come Prato della Valle, oggi particolarmente suggestivo nei suoi colori e nella sua straordinaria ellittica bellezza, ma non è bastato per uscire indenni dall'Euganeo.
Giocare contro una squadra chiaramente avanti con la preparazione, sicuramente più solida nel suo complesso, oltre che candidata alla A, con il gap tattico dei biancorossi, non era facile, così come non era facile far risultato, ma alla lunga - gol a parte che ci sta pure, errore di Crescenzi incluso - il Bari ha confermato di essere una squadra che fa moltissima fatica, forse troppa, per creare gioco, trame ed azioni importanti dalla trequarti in su. Almeno fino adesso. Del resto, i tempi delle goleade con le varie rappresentative valligiane è terminato da un bel pezzo.
Un salto all'Appiani è stato inevitabile, ancorchè doveroso: impossibile rimanere inerti davanti ad un vero e proprio monumento del calcio, uno di quelli che andrebbero tutelati e considerati patrimonio dell'umanità del calcio. Ed invece, la partita si giocava altrove, tra le campagne padovane, in un ammasso di ferraglia assomigliante, forse, più ad una centrale nucleare nipponico-sovietica o ad uno stadio comunista anni '60 della Cecoslovacchia o della Bulgaria, che ad uno stadio italiano. Tant'è.
Fortuna che si è riaffacciata la nostra amica luna che, finalmente, è tornata ad accompagnarci e ad illuminarci in queste trasferte, grazie alla cui luce abbiamo annotato sul nostro languido taccuino una sola azione degna di riscontro, peraltro finita pure male, con un tiro da una posizione impossibile di Cicco Caputo, oggi - nel suo ritaglio di tempo - particolarmente scialbo, svogliato e, ad un certo momento, persino pericoloso a causa di un mancato intervento da codice penale nei confronti di un avversario. E poi un'altra ancora, nel primo tempo, con Kopunek - che, con tutta onestà, al momento non risulta affatto determinante alla causa Bari - sul cui cross, un Marotta ancora alla ricerca di se stesso ma non per questo statico, era troppo distante.
Ed è proprio in questo contesto che il Bari ha subìto il gioco del Padova che pure non facendo sfracelli, è risultato più pratico e determinato nel voler vincere rispetto ai baresi; sta di fatto che i ragazzi di Torrente non sono riusciti a mettere il muso al di la della propria metà campo se non, appunto, nel paio di circostanze irrilevanti appena descritte.
Poco, troppo poco, se pensiamo che per i primi 30 minuti del secondo tempo, i galletti nicolaiani sono stati praticamente padroni del campo, costringendo in difesa quelli antoniani, naturalmente in maniera sterile. Del resto, se lì davanti si evidenziano tutti i limiti strutturali, non sarà stato un caso che Torrente abbia chiesto, espressamente, in illo tempore un attaccante di peso. Peccato, però, che questo giocatore non sia arrivato nonostante l'ottimo lavoro di Angelozzi. E adesso, inevitabilmente, si pagano le conseguenze in attesa che si sblocchi Godot Marotta.
E comunque riteniamo, al di la del problema attacco, che manchino proprio del tutto gli schemi e, spesso anche i raddoppi che abbiamo intravisto in ritiro, tutte caratteristiche necessarie per poter competere n questo lungo torneo di B. Almeno questa è la prima “istantanea” che ci siam fatti.
Lontano da noi, ovviamente, dal far processi. Abbiamo sposato la causa Bari sin dal 18 luglio sostenendola così come continueremo a farlo perchè una società in rifondazione non la si può criticare, ma è appena il caso di fare, quanto meno, qualche doverosa considerazione dopo queste quattro gare: vorremmo solo capire se tali mancanze di schemi e di gioco siano soltanto questione di tempo - come siamo portati ragionevolmente a pensare - o se c'è dell'altro che, con tutta onestà, non osiamo nemmeno pensare.
In attesa che la qualità che sicuramente non manca a centrocampo (e, se vogliamo, nemmeno lì dietro la difesa nonostante la prova insufficiente di Crescenzi), faccia il suo decorso, sarebbe più opportuno depositare, momentaneamente, nel cassetto, sogni di gloria e il 4-3-3 tanto caro a Torrente provando, magari, ad avvicinare i due attaccanti ai 4 centrocampisti e viceversa. Forse, chissà, più “legati” potrebbero sortire maggiori effetti sulla costruzione del gioco così da automatizzare la manovra. Ecco, al momento manca proprio questa capacità di costruzione del gioco.
E se non si costruisce – c'è niente da fare - non si segna, anzi, si subisce gol e a nulla servirà travestire Bogliacino da punta esterna errabonda per il terreno di gioco senza costrutto, lui che invece dovrebbe sfornare assist a go-go.
I tempi di Conte e Ventura sono ormai lontani. Occorre far buon viso a cattivo gioco così da poter affrontare il torneo senza esasperazioni. E' inutile drammatizzare, che si mettano ancora in preventivo ulteriori sconfitte, speriamo poche naturalmente: del resto il Bari, come annunciato sin da agosto, parte a fari spenti in attesa di ritrovar se stesso, in attesa che il suo blasone e la sua storia, ultimamente parecchio tribolata, tornino a brillare come le ville palladiane di queste parti che, fortunatamente, torneremo a vedere per almeno tre volte ancora quest'anno.
E adesso sotto con la Nocerina: un'occasione unica per riprendere il percorso.

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