19 febbraio 2012

Livorno, immagini di retorica barese e malinconica vis roboris biancorossa







E' una di quelle partite che non puoi dimenticare tanto facilmente. Non è una vittoria a San Siro giocata sotto le luci di Vecchioni nel periodo sanremese o all'Olimpico, no. E non è nemmeno una vittoria quasiasi conquistata in trasferta. Vincere a Livorno, nel mitico Picchi che sembra il fratello minore del Della Vittoria a guardarlo nelle sue sfaccettature, dopo una settimana – l'ennesima – vissuta tra un mix incubi vari mai accaduti prima, non era affatto facile. Ed invece la squadra di Torrente, ancora una volta, lo ha fatto centrando l'ottavo successo fuori le cosiddette mure amiche (ma che, poi, tanto amiche non risultano) che, considerato il contesto societario, assume una valenza che si spinge ben oltre i confini della normale aministrazione. E non c'è bluff: si è vinto con merito, senza strafare e senza abbuffarsi di occasioni gol, quasi gesticolando con le mani per farsi capire da quella esigua parte della tifoseria ancora inspiegabilmente diffidente e troppo ferocemente critica nei suoi confronti in quanto, probabilmente, ragionante ancora le gesta di Conte e Ventura insite nei pertugi delle loro menti. E' il dazio che si sta pagando per due anni vissuti casualmente al di sopra delle proprie possibilità senza capire, invece, che è stata girata pagina da un bel pezzo. Purtroppo.

Una vittoria conquistata dopo una partita non eccezionale come lo sono state quelle di Varese e  Bergamo, ma pratica e concreta  nella quale Ciccio Caputo, pur rimanendo all'asciutto, ha condotto il resto della band al successo in maniera lineare, quasi geometrica, come le strade squadrate e le Piazze della bellissima città labronica che paion disegnate da matita e compasso. Insomma, sia pur intravedendo buon calcio, si è badato al sodo, rendendosi pericolosi nelle ripartenze quanto bastava e soffrendo con dignità nel concedere fisiologici metri ai padroni di casa che non si rintanano mai dietro il proprio fort Apache in quanto la letteratura calcistica prevede sempre un lasso di tempo in cui ci si affaccia di tanto in tanto in zona avversaria al di la dell'arretramento del baricentro della squadra ospite. E' normale, insomma. A meno che l'ospite non sia il Barcellona, nessuna squadra casalinga rinuncia a mettere il becco in area avversaria, nemmeno in una modesta serie B come questa. Ma taluni tifosi baresi, ahimè, lo dimenticano accusando e criticando Torrente di abbassare troppo il baricentro con certi cambi senza sapere che in avanti ci sono ragazzini e non stars mondiali. Vabbè.

Una vittoria ottenuta con grande spirito di sacrificio, con quella dignità stampata sulle magliette, ormai, sbiadita a causa di un manipolo di ex farabutti che hanno sporcato di sterco la maglia gloriosa del Bari, una vittoria al pari delle altre ottenute - come scrissi per Varese - lavandosi e disinfettandosi la maglia da gioco per poi risporcarsela di sano fango e faticoso sudore regalando, così, di fatto la dignità perduta a quanti come me, pochi ma buoni, ancora credono nei colori biancorossi

Una vittoria, questa di Livorno, ottenuta dopo circa 40 anni che ha dimostrato non solo la continuità del gioco, ma anche la grande capacità da parte dei ragazzi di saper soffrire nei momenti oggetivamente di difficoltà come, appunto, lo sono stati quelli di oggi al Picchi dove tra la solita ingenuità difensiva tipica di una difesa, forse, ancora troppo vincolata nel suo insieme (e non singolarmente: bravi tutti, anche Borghese nonostante qualche disimpegno al cardiopalma) alle angosce metropolitane, una espulsione sacrosanta ma decisamente opportuna nella dinamica di gioco, senza dimenticare del mancato apporto di Romizi che di questi tempi sembra sia l'uomo giusto per dettare equilibri e tempi di gioco, hanno trionfato la mentalità di guerriero dell'allenatore ex genoano, ed insieme ad essa il suo gioco e l'anima della squadra, a dispetto dei soliti soloni indifendibili prevenuti (a differenza dei critici obiettivi da cui si accetta e si rispetta ogni concetto)   quelli che, pur di smentirti invano giocano ai dispettucci - sterili peraltro - come i bimbi dell'asilo, quelli per cui se non giocano come Messi o Baoteng, magari con Conte Ventura o Guardiola in panchina e non con 11 operai come Bellomo Galano Borghese Ceppitelli e Lamanna con Torrente in panchina, non è calcio vero. Insomma frustrazioni personali, ovvio, manovrate da prevenzioni diffuse ma che corrono il rischio di vanificare il lavoro svolto da chi va in campo che, pure, legge i commenti qua e la e che invece di trovare terreno fertile di parole confortanti e di coraggio, trova frasi decisamente sceme e fuori luogo. 

E' un po' lo stereotipo del tifoso medio barese, figura retorica storicamente pericolosa decisamente da evitare sempre, a differenza di quelle genuine più “alte” e soprattutto più “basse”, che pur di prendersela con qualcuno per il tunnel nel quale la proprietà ha  condotto il Bari, se la prende coi meno colpevoli, magari giocando come il topo con chi difende a spada tratta gli operai vestiti di tute biancorosse, pur senza dimenticare fisiologici errori ed orrori di taluni ma che, in un momento delicato come questo mai successo in 104 anni di storia biancorossa, appaiono abbondantemente tollerabili non foss'altro per i 41 punti, fin qui, ottenuti. Insomma, una punta di sadismo mista ad inspiegabile sciocca prevenzione.

Le sconfitte in casa, peraltro da qualche tempo a questa parte anche immeritate a causa del gioco che finalmente si intravede in tutta la sua magnificenza sia pur non guardoliana, sono figlie di ben altre cause: mancanza di fiato dei tifosi sugli spalti seppur legittimo, per carità, quantunque il tifoso dovrebbe stare sempre vicino alla squadra, quei tifosi che si mostrano spesso contraddittori in quanto se il Bari perde in casa cade lo spettro della depressione mista ad accuse verso tutti, ovviamente pure coi meno colpevoli, in particolare con Torrente prendendo a pretesto certi cambi, a loro modo, errati manco fossero tutti allenatori con tanto di patentino ottenuto a Coverciano, mentre se vince a Livorno, invece, rieccoli spuntare dagli scogli come i polpi di Polignano a mare ad omaggiare l'allenatore e i ragazzi, ma anche i gestori della società che improvvisamente ritornano ad essere bravi; poi, tra le cause, ci sono pressioni psicologiche ancora trasudanti dalle pareti dello spogliatoio biancorosso dovute ad un recente passato ancora lungo da dimenticare e da digerire ma soprattutto dovuto alla latitanza della propietà che si dà opportunamente alla macchia in attesa di tempi politico-amministrativi migliori e più consoni al loro modus operandi e che invece di star vicina in questi momenti difficili, preferisce delegare braccia più o meno destre per la gestione. Fortuna che lo zoccolo duro dirigenziale resiste e sgomita come prigioniero incolpevole recluso nel penitenziario di Torrebella e i risultati, soprattutto grazie a loro, si vedono. Se una fisionomia di squadra esiste, oltre a quelli del Dott. Garzelli deux ex machina del Bari, i meriti vanno estesi soprattutto ad Angelozzi il quale, differentemente da Perinetti che la spesa la faceva col portafoglio pieno e, quindi, trovando ragionevolmente anche merce metaforicamente avariata, è riuscito ad allestire una squadra competitiva formata da giocatori idonei sin da subito pur avendo ben altri obiettivi primari come quello di monetizzare le casse societarie, senza dimenticare che Torrente è a Bari per merito suo. 

E in tutta onestà, non so quanti direttori sportivi sarebbero stati capaci di generare tutto ciò la cui summa, oggi, sono i 41 punti conseguiti. Ma i 4 tifosi soloni imperialisticamente antimatarrese di default prevenuti questo non lo ammettono. Tanto peggio per loro: ognuno è padrone di rodersi il proprio fegato. Che si friggano pure gli occhi pensando ad Almiron, a Barreto e a Pepp Guardiola e non, invece, apprezzando il grande  sacrificio operaio di questa squadra pasoliniana che, grazie al suo allenatore diventato a sua insaputa pure psicologo in quest'anno tormentato, reagisce alla grande estraniandosi dall'ambiente pesante che li circonda, perchè ottenere tre punti e poi vederseli togliere dalla giustizia sportiva, per un manipolo di fanciulli gulliveriani volanti come Peter Pan, non deve essere, poi, così bello e psicologicamente sopportabile.

Livorno è una gran bella città, racchiusa nella fumosa e luminosa malinconia trasportata dal Libeccio profumato di sale che da queste parti è di casa. Tornando dallo stadio dopo la gara,  contaminazioni di sana e sobria felicità han fatto capolino sul mio viso grazie anche allo spettacolare tramonto tirrenico apparso improvvisamente sul bellissimo lungomare livornese che mi ha accompagnato, insieme al garrito di stormi di gabbiani felici, fino al centro storico dove la felicità si è appena offuscata dalle note vagamente malinconiche di Piero Ciampi che provenivan dal porto spingendosi fino ai vicoli e dalle osterie del quartiere antico, quello ebraico. Un segno eloquente del destino a cui, forse, sta andando incontro la squadra barese. Speriamo di limitare i danni al minimo. E nemmeno il cacciucco, decisamente strepitoso, con le linguine al nero di seppia mai state così buone, accompagnati da un frizzantino freddo chardonnay niente male, son riusciti a mandar via quel rigolo di tristezza in fondo all'anima. Solo il sorriso sincero di Dolcenera Torrente, a fine gara, quasi a voler dire che, diamine, può cascarci anche il mondo in testa ma noi ce ne freghiamo di tutto e di tutti, e forse, complice pure il compleanno del nostro comune amico Faber, insieme a quello di Augusto Daolio che oggi ricorrevano, ci ha accomunati in uno sguardo di sana felicità. Quella tipicamente nomade, come me, da Genova a Novellara passando per Livorno e tornando a Bari.

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