1 giugno 2012

Bari calcio, tra certezze ed incertezze




E' arrivato il rompete le righe, quello ufficiale, ordine perentorio con cui, da oggi, tutti saranno autorizzati a dare un calcio definitivo nel sedere al pallone flaccido fino a farlo arrivare il più lontano possibile, laggiù, nell'infinito leopardiano ai confini con il nulla. Almeno per un po'.
E con esso è arrivato anche l'addio alle armi baresi per molti giocatori i quali, chi per fine prestito, chi per fine contratto, lasceranno la capitale pugliese - verosimilmente per sempre - dopo aver avuto la loro buona opportunità per mettersi in mostra dopo i fisiologici anni trascorsi sui campi minori.

L'ora dell'addio per queste facce un po' “così” con quelle espressioni un po' “così” che hanno mostrato qua e la nei ventri degli stadi grigi, sguardi a volte truci e a volte tristi, talvolta sorridenti ma zeppi di malinconia come quelli stampati sugli sguardi di certi giocatori sudamericani, tutte sfaccettature colte, dal sottoscritto, orazianamente nel lasso di un attimo tra un camminamento nel Menti vicentino ed un passo agile, con la borsa a tracolla, nei meandri di quello stabiese, passando per un sorriso regalatomi al Picchi da Borghese e da Bellomo insieme a quello inaspettato di Morosini, facce che sembravano uscire da un film in bianco e nero di Truffaut, personaggi alla Jules and Jim, per intenderci.
Insomma, parafrasando un altro celebre film d'epoca, è finito per loro il tempo delle mele. Ora dovranno fare i conti con la realtà e chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato.

Quelle facce pulite, candide, in bianco e nero come quelle impresse nelle foto ingiallite dei nostri avi, facce da cui è trasparso quel senso di onestà e di pulizia, di calcio vero, sia pur coi limiti intravisti, stanno per abbandonarci e con esse la mia penna e le mie riflessioni; quelle facce che si sono immolate alla tifoseria barese calandosi sin da subito nella parte di chi,  avendo compreso il dramma psicologico che la piazza stava vivendo, aveva deciso di giocare a pallone non tanto per la propria gloria (che pure ci stava tutta essendo ragazzini), ma per vendicarla dopo tanta amarezza ingoiata, decidendo, ancor prima di mettersi i mutandoni e i calzoncini e, dunque, sin da Borno sotto il suono incessante delle celebri campane da me descritte all'epoca, di indossare tuta, pompa disinfettante e ramazza spazzando via la montagna di merda mista a muffa alimentatasi come un blob incessante all'interno dello spogliatoio nicolaiano tra ex addetti ai lavori in biancorosso e non, a causa dello stazionamento di balordi calciatori accompagnati, sia fisicamente che mediaticamente, da mezze calzette parassitarie.

Un calcio pulito, dunque, che ha spodestato tout court tutto quel ciarpame nel frattempo andatosi ad aggrovigliare nel chiasmo delittuoso tra il delinquere e il barare scaturente dall'operatività di personaggi loschi che si son lasciati corrompere per centinaia e centinaia di migliaia di euro solo per il gusto di prenderla o non prenderla, a seconda delle prospettive vergognose che la vita gli concedeva, quella stramaledetta palla sgonfiata di sterco, unica qualità - grosso modo - che il buon dio ha voluto riservare a questi 4 balordi ignoranti sia della vita vissuta che del sapere e del conoscere, 4 cialtroni saltimbanco travestiti da calciatori incapaci di coniugare un verbo al congiuntivo, incapaci di sognare, incapaci pure di incutersi curiosità conoscitiva, incapaci di leggere un articolo di un giornale (non ne parliamo di interpretarlo), forse incapaci pure di piangere, ma piuttosto abili nel delinquere e nel mancare di rispetto alla tifoseria per l'ingordigia lussureggiante che, di lì a poco, avrebbe colmato il loro perenne ed atavico vuoto intellettuale e morale.

Sicché han preferito ridicolizzare una città intera che li aveva accolti come sempre Bari è capace di fare da mille secoli almeno, piuttosto che andare più saggiamente a San Nicola o dal loro santo protettore per ringraziarlo per il “dono” pedestre cui sono stati dotati e con cui, in barba ai morti di fame, ai pensionati ma anche ai tartassati di qualunque razza, si son guadagnati milioni, grattandosi, senza fare nulla dalla mattina alla sera, mostrando devozione alla snai, unica fede, ormai, in cui sembran sperare tutti, meno che il sottoscritto.

Ma questa immagine vagamente neorealista, di dolci vite viziate poco felliniane al seguito cui è seguita la rinascita del germoglio del pallone barese non ha entusiasmato granché una piccola parte della tifoseria (quella prettamente webbaiola) nonostante la sua resa notevole in rapporto alle risorse umane reclutate miste - non dimentichiamolo - alle note difficoltà, ma soprattutto in relazione alle difficoltà psicologiche sopraggiunte inusitate tra i ragazzi, interposizionatesi tra loro e il torneo: io credo che non debba essere facile per nessuno mantenere un equilibrio psicologico sapendo di aver ottenuto tre punti faticosamente a Pescara e poi, dopo 24 ore, venire a conoscenza che quei punti gli son stati levati. No, non credo debba essere facile per nessuno, figuriamoci per un appena adolescente venuto dall'est o dal sudamerica o dal Gubbio, magari alla prima avventura in B. Lo vedo più come un trauma che come una esperienza negativa.

Così  la piazza già di per se tiepida e scolorita a causa di una retrocessione ancora indigesta, ancora con gli occhi bendati dai prosciutti contiani e venturiani - e, dunque, poco obiettivi - non ha compreso il sacrificio della rosa e della dirigenza in pectore criticandola per il non gioco, in effetti, espresso di cui - chi mi legge lo sa - ho sempre parlato (semmai invitavo a tollerare, visto il momento, il non gioco e badare più alla resa), quantunque ne abbia comunque apprezzato lo sforzo effettuato dalla società nell'allestire una squadra di calcio in mezzo ad un mare in tempesta dando ai giocatori un remo ognuno per tentar di conquistare la prima ansa utile entro cui ripararsi, e apprezzato pure il lavoro certosino di pedagogo, psicologo (a proposito di traumi), terapeuta e, a tempo perso, anche di allenatore, di Ulisse Dolcenera Vincenzo Torrente che è stato il materiale responsabile del miracolo barese.

Insomma, e va bene che l'ingratitudine umana è, talvolta (a Bari soprattutto e sperimentato sulla mia pelle, dunque fidatevi), più grande della misericordia di dio, ma cercare proprio quest'anno la perfezione guardioliana, zemaniana e contiana, il tacchetto alla Joao Paolo, il tunnel alla Protti e il dribbling alla Florio, quando c'era solo da cercare un'ansa tranquilla entro cui ancorare al più presto possibile per riposare le stanche membra e tirare il fiato dopo le avventure talassocratiche tra Uffici del Lavoro, Agenzia delle Entrate, Equitalia, Procure varie e, solo a tempo perso, nei terreni verdi, io credo sia stato davvero esageratamente cialtronesco, nel vero spirito dei forum vari dei tifosi da dove, come noto, traspare quel senso di povertà assoluta mista ad inaffidabilità totale, per non parlare della nota maleducazione mista ad arroganza.
E alla luce di questo mi domando se sia davvero il caso che la proprietà del Bari calcio, che tutti noi vorremmo ascoltare a riguardo anche per strappare un sorriso, si possa lasciar sfuggire via una certezza (Torrente) in previsione di un orizzonte ancora nebuloso e tutt'altro che certo.

Torrente, pedigree a parte per il quale non deve dimostrare nulla a nessuno, ha creato una colonna portante all'interno dello spogliatoio oltre ad uno spirito di gruppo e, sebbene in molti andranno via, potrà contare sul ritorno di molti giocatori mandati in prestito, supportati da una colonia già collaudata e, per di più, con un anno (e che anno...) di esperienza alle spalle che per giocatori come questi, ancora avvolti dal cordone ombelicale della grezzezza e solo appena levigati, potrebbe voler dire lancio definitivo dopo un anno vissuto pericolosamente. Torrente incluso.
A ciò ci sarebbe da aggiungere il non secondario particolare per il quale la squadra, nonostante i segnali incoraggianti che pervengono dalle prime risultanze giudiziarie (Grosseto), partirà sicuramente con un handicap che, per azzerare quanto prima, sarà necessario avere una rosa competitiva e una non messa su alla meno peggio altrimenti il rischio di precipitare sarà davvero enorme, e il miracolo si chiama tale perché, proverbialmente, accade una tantum. Non due volte.

E Torrente, se non altro, da questo punto di vista è già a metà percorso non avendo la necessità di formare un altro gruppo, né di erudire tutta la squadra del suo gioco, si spera l'anno prossimo un tantino più spettacolare, naturalmente con una punta di peso in più.
Ma se non si ha nemmeno la possibilità di trattenere Torrente che, pure, a Bari sta bene e che considera sempre un punto di arrivo per uno come lui che di gavetta ne ha fatta tantissima e che col Bari avrebbe voluto veleggiare in serie A magari col tempo, se ci si fa sfuggire una certezza che come minimo garantirebbe un'altra dignitosa permanenza in B dal momento che, lo ripeto, il Bari partirà penalizzato sia per il calcio scommesse che, forse, per l'Irpef non versata, per lasciare il posto ad una incertezza che farebbe ricominciare tutto da zero in un momento in cui, invece, occorrerebbe far tesoro di quel poco di petrolio appena raffinato che è venuto fuori dopo quest'anno, allora mi sembra che non ci sia più null'altro da dire ed ogni discorso sarebbe inutile. 

Anzi no: forse c'è da dire che si pretende la serie A, magari con Guardiola che si è liberato e con Messì con l'accento sulla i. Perché è questo che vogliono e pretendono certi amanuensi webbaioli da strapazzo. 

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