26 gennaio 2013

Dolcenera, da mo' vale



Una gara, quella di oggi, giocata col massimo impegno da tutti, con un super Defendi alla sua migliore gara da quando è a Bari e con qualche mossa di Torrente apparsa, all'inizio, quanto meno dubbia ma che non ha inficiato sulla resa (quella di Aprile, ad esempio, sin dal primo tempo: ma se lo ha gettato nella mischia un motivo valido ci sarà senz'altro) tanto che, comunque, ha prodotto tre nitide occasioni gol nel primo tempo ed altrettante nel secondo, e frantumata dal solito, puntuale, strafalcione difensivo, stavolta partorito dalla premiata polleria barese di periferia che, complice l'unico tiro in porta degli avversari da parte di super Zaza, ne ha sancito l'ennesima sconfitta. Un classico, insomma: il Bari fa la sua onesta partita, l'avversario fa un tiro in porta viziato dall'errore difensivo ora individuale, ora collettivo, lo trasforma in gol, e vince la gara. Ne ho contate almeno sette di queste partite. Poi si può discutere sulle scelte, gli schemi, su De Falco che continua a non convincere e a configurarsi come doppione di Romizi, e viceversa, ma se le amnesie sono all'ordine del giorno, se manca quel faro necessario (come c'era lo scorso anno) ad illuminar d'immenso, o comunque quanto basta, i reparti per tratteggiare la via maestra, ogni tentativo di cercar alternative risulta vano.


Ed è un vero peccato perché, volendo analizzare la gara in modo obiettivo, non credo si possa puntare l'indice sulle scelte di Torrente: errore difensivo a parte sul quale nessun allenatore potrebbe farci nulla anche se le difese son composte da blaugrana o da bianconeri (se si sbaglia, si sbaglia, e basta), quando ha capito che penetrare tra le maglie difensive ascolane era diventato complicato, ha levato un centrocampista (Romizi) per Fedato, quindi ha inserito Iunco per l'indecifrabile Aprile codino e tutto - unica motivazione, fino adesso, per il quale è diventato idolo qui a Bari - cercando, dunque, un po' più di qualità e di esperienza, invano, in un'aia di campo calpestata da brutti anatroccoli alla ricerca del fraseggio irritante fatto da tacchetti, palle ad effetto e mezzi passaggi nel raggio di venti centimetri, tipologia di calcio che, come noto, non paga mai ma soprattutto trapassato.

Non sarà un caso che, alla fine, il solo Bellomo - prossimo compagno di Cassano - è risultato l'unico cecchino. E poi la scelta di Galano il quale, se non altro, ha provato a tirare in porta senza badare a sfrecciare sulla fascia.
Buona prestazione, tuttavia; la squadra ha creato tanto dando l'impressione che l'anima esiste nell'immanenza aristotelica della Torrente's E Street Band, quella necessaria per tirare lo sprint alla salvezza, e se non fosse stato per il portiere barese Maurantonio, sceso nella sua città col trolley dell'indisponenza tipicamente bariota per comportarsi, appunto, da "barese" ma con la maglia del picchio, e che ha fatto la partita della vita al pari di celeberrimi suoi antichi colleghi, magari scarsi di proprio, ma divenuti improvvisamente tanti Lev Jascin ogni qualvolta calcavano le aree delimitate dalla polvere di calce dei vari terreni baresi decantati dalla storia, il Bari avrebbe sicuramente, quanto meno, pareggiato.

Ma le parate del portiere, insieme alle micidiali ripartenze (una volta, ai tempi di Tonino Carino, conosciute come contropiedi) ascolane han messo in difficoltà il Bari e nulla han potuto Aprile e Fedato, apparsi parecchio prevedibili e, impegno a parte, decisamente poco incisivi.
Meglio così. Era ora, anzi. Ci voleva la mega sosta natalizia per sancire quali fossero le ambizioni dei biancorossi. E adesso che comincia, finalmente, il vero torneo del Bari, il cui obiettivo di partenza era la salvezza. E finire, malinconicamente, laggiù tra le ultime, sebbene lasci un retrogusto di amarezza mista a sacrosanta preoccupazione, non può che far fuoriuscire quell'orgoglio necessario per raggiungere il traguardo. Un traguardo apparso già difficile sin dall'inizio del torneo a causa dei 7 punti di penalità (contro i sei dello scorso anno) e del materiale a disposizione che, sulla carta, appare senza quel tasso d'esperienza adatto per vincere qualche partita in più nei momenti difficili, magari senza convincere (come ha fatto lo scorso anno), e quelli che dovrebbero garantirla, di fatto, risultano poco determinanti a differenza dello scorso anno quando la resa al 20-30% di Donati, Bogliacino, De Paula e De Falco, se non altro, garantì una salvezza dignitosa.
Da mo' vale, insomma, per dirla alla maniera nostrana.

Piuttosto mi chiedo, visto che le note del carillon presidenziale sono alla fine del loro giro, cosa si aspetta, per il bene della squadra della città, a passare la mano lasciando all'interno i generali e i soldati che, fin qui, hanno gestito alla grande la Platea della sopravvivenza nel calcio che conta. Azzerando o, quanto meno, alleggerendo i debiti. Senza se e senza ma.

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