12 dicembre 2011

Brescia: tra istantanee di angosce autunnali e di 3 punti


Brescia è una città vivace e zeppa di storia romana ma che di brianzolo ha poco e nulla, una città in odor di Veneto a due passi dal Bardolino e dal Garda più che dalla “Madonina”, ma tanto triste. Quando la vedi, la attraversi, la percorri, ti lascia un retrogusto di grigiore nella mente, complice, ovviamente, anche il periodo autunnale. Ma è anche “Patrimonio dell'Unesco” pur non essendo candidata a Capitale della Cultura nonostante la mostra su Van Gogh e Gauguin di 5 anni fa.

Ieri, ai piedi della Val Trompia, ma vicino anche a quelli della Val Camonica dove il Bari ha trascorso il ritiro questa estate che ho personalmente seguito, ci ha giocato la squadra di Torrente uscita, finalmente, trionfalmente vincitrice per 1-3 con uno di quei risultati che lasciano una particolare scioglievolezza mnemonica.

E nonostante tutto, prima della gara, a vederlo quello stadio - il Rigamonti - mi ha messo un senso di angoscia, un senso di tristezza difficile da spiegare, quasi come l'impatto con Brescia: quei rami spogli attraverso cui si intravedevano le gradinate, le foglie per terra, tutto intorno grigio e cemento, quel cielo naturalmente plumbeo, si sono assemblate come in un filmato costruito sul PC e condiviso su youtube.
Inevitabile il passaggio della memoria: da quel gol di Casarsa siglato su rigore 40 anni fa, inizio di una improbabile rimonta per Sigarini & C. che, però, non gli evitò la retrocessione n C, fino a Piazza della Loggia, in quella piazza bellissima ubicata al centro di Brixia dove 40 anni una bomba fascista lasciò i suoi segni ancora oggi visibili.

Ci passo sempre da Piazza della Loggia ogni qualvolta capito a Brescia anche per una questione di rispetto ideologico verso chi è caduto inconsapevole quel pomeriggio. Mentre, nel frattempo, nella sede della Banca Nazionale dell'Agrcoltura, nella vicina Milano, un altro rumore di morte squarciava il silenzio meneghino.
Fatto sta che ieri, respirando l'aria bresciana, guardando ad est quel cielo nato colorato in volo, verso Pescara e poi trovato grigio in città, scrutando tra quelle case ordinate che non lasciano intravedere né le colline, né i monti e nemmeno le Alpi innevate in lontananza, un senso di angoscia ha preso il sopravvento su di me. Brutto segno.

Poi la stazione: storica location di addii, di saluti, di tristezza, di pianti, di ritorni, la ricerca di un treno, di un binario, dell'orario, una stazione ferroviaria poco stazione e molto vintage con una zona esterna davvero carina e senza auto (ovviamente), con un aspetto archiettonico poco ferroviario e molto vicino ad una struttura medioevale, quindi la partita per andar a vedere quei 4 ragazzini calciarsi la vita dietro uno stupido pallone, spinto sempre dalla mia passione mista ad ispirazione letteraria.

Fortuna che ci han pensato i 4 maramaldi di Bellomo & C a rimettermi su di morale, insieme al bravo collega Gaetano Nacci che per la prima volta affrontava una trasferta pallonara. Gaetano ha avuto un gran pregio: quello di aver sopportato le mie angoscie bresciane avendo trascorso la maggior parte del tempo con me seduto tra i banchi della tribuna stampa, accanto in autobus, e in volo da “Delirio” al Serio a Palese, al ritorno. Che il futuro sia per lui sempre sorridente e pieno di soddsfazioni: del resto, se il buongiorno si vede dal mattino... non si esordisce, a caso, con tre punti sul taccuino.

Dispiace per il Puer Torrentae di turno ancora una volta caduto nella trappola dell'ingenuità: ormai ne si conta uno a partita. Meno male che di fronte, il Bari, ha trovato una squadra davvero modesta, priva di schemi con tagli verticali in profondità quasi sempre sbagliati, naturalmente anche grazie alla dispozione dei galletti trascinati da un eccellente Donati.

E' inutile che stia qui a metter voti ai ragazzi; dico solo che, ingenuità di Borghese a parte che fino a quel momento aveva giocato da gladiatore (e giocherà sempre così), ho apprezzato il dialogo tra le “punte”, dialogo ormai perso nella notte dei tempi, dai vecchi 4-4-2 perottiani o materazziani, e soprattutto ho rivisto la squadra del primo scorcio stagione, quella piena di entusiasmo e di voglia di far le cose per bene, attenta alle sbavature e con un grande senso di responsabilità. Persino Polenta e Kopunek hanno giocato bene: il primo, pur con la sua andatura terribilmente lenta, l'ho visto sempre puntuale sulla fascia, mentre il secondo far un lavoro oscuro ma sempre prezioso per l'equilibrio tattico tra i reparti. Poi al resto ci han pensato Bellomo, De Falco e la difesa.

Caputo e Marotta, sia pur in modo balbettante, hanno creato problemi alla difesa bresciana con la mitica “V” sul petto, sia pur senza incidere, ma alla fine la loro maglia - come sempre - è risultata sudatissima. Così dicasi per Stoian e Castillo. Un grande e sentito applauso va anche a costoro: al primo perchè è riuscto - due gol a part - a far salire la squadra nei momenti in cui il Brescia creava problemi e prendeva coraggio, portandosi lontano il pallone, mentre al rientrante Nacho Castillo, mio amico, per aver saputo mettere a disposizone l'unica cosa che, infondo, gli vien chiesta da adesso a fine torneo, vale a dire l'esperienza, cosa fondamentale per questi ragazzi, e a vederlo non perdere mai la palla, dettare i ritmi, parlare ai compagni oltre a muoversi discretamente per quelle che erano le sue competenze in relazione ai suoi limiti, mi ha rimesso il buon umore. Complice il sorriso zeppo d'entusiasmo di Gaetano.

Alla fine, tra la mixzone e la sala stampa, lì, dove erano parcheggiati i pulman delle due squadre, tra lo sguardo truce di Champagne, senza bollicine, Gigi Maifredi, avvolto dal solito loden blu notte con cui lo avevo conosciuto per la prima volta quando prese due sberle da Soda, unico deputato a parlare a causa del silenzio stampa imposto dalla società lombarda, regnava un clima di sana ed autoriataria euforia tra gli addetti ai lavori, giocatori, tecnico, dirigenti esteso finanche all'autista dell'autobus, euforia che mi ha contagiato dispensando sorrisi e abbracci un po' a tutti ma anche ricevendone che, come si sa, fa sempre bene all'anima, soprattutto per i viaggiatori narranti come me.

Insomma, una vittoria tutta sostanza, poco cuore e tanto fosforo, quelle che piacciono tanto e che sono tipiche della B, una categoria dove il Bari di Dolcenera Torrente, senza penalità, sarebbe stato a braccetto della miliardaria Sampdoria e che, anzi, coi due punti del Cittadella sarebbe stata ad un punto solo dai play off. Questa è evidenza.

E mentre i tifosi bresciani curvaioli prendevano di mira Corioni invitandolo, in linguaggio “camuno”, ad andarsene quanto prima, nessun coro è partito, invece, verso Scienza, allenatore che l'anno scorso militava in Seconda Divisione, bravo, i cui insegnamenti, sentiti i colleghi bresciani, non si sono ancora visti. A Bari, invece, accade il contrario: un allenatore bravo che fino allo scorso anno militava tra la Seconda e la Prima Divisione, siccome non riesce add esprimere il gioco, viene fischiato ed invitato ad andar via. Mentre riesce a raccimolare ben 26 punti. I soliti frettolosi ingrati.

Si sa: i tifosi, purtroppo, pretendono anche il gioco e, dunque, vorrebbero botte piena e moglie ubriaca. Ma da queste parti, con i problemi societari e i chiari di luna tutt'altro che chiari, quanto servito sul piatto della passione credo valga ben più di una spigola arrosto targata “uno straccio di gioco”. Dunque sappiate, cari tifosi, apprezzare quanto prodotto e servito da questa società dal momento che, francamente, di più, quest'anno, non può dare. Il gioco? Magari sarà per l'anno prossimo.

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