22 gennaio 2012

Il San Nicola: tra volontariato e terra di conquista



Il San Nicola, terra di conquista per tutti. Anche per chi mostra un calcio davvero modesto: inevitabile, poi, portarsi via in val Padana, tra la Via Emilia e il West modenese, i tre punti  limitandosi al proprio compitino da primo quadrimestre, naturalmente con merito si intende. E già, perchè alla fine chi riesce a gestire la gara limitandosi al minimo sindacale, senza tirare in porta (quasi come  "Dumas" Bolchi, per intenderci) dopo aver trovato un golletto concesso con  disarmante gentilezza dal quadrumvirato difensivo capitanato da Sir Borghese, quasi fosse una regalia post-natalizia al sig. Patre, il quale - ne sono certo - rigonfierà la rete tra mille secoli almeno (quando noi... non ci saremo), vuol dire che se lo è meritato. E, dunque, uno squallido 0-0 avrebbe reso, secondo me, miglior giustizia alla gara. Ma si sa: Dike, di questi tempi, non sempre porta con se i due piatti della bilancia. Occorre farsene una ragione.

Si gioca nella landa bitrittese in uno stadio in balia del degrado con prospettive sinistre verso sud scheletrite dalla mancanza dei teloni, acqua stagnante sui ripiani dei desk della tribuna stampa, sedioline mancanti con fantozziani tubi in ferro, mobili, su cui, in teoria, ci si dovrebbe sedere, prese elettriche non tutte funzionanti, insomma una fotografia che rispecchia perfettamente lo stato attuale della Bari ormai alla deriva senza nemmeno uno straccio di Capitano Schettino a gestirla sia pur allegramente; il contesto ideale per far del volontariato. E in questa moribonda struttura mantenuta in vita con tubi ed ossigeno ed aghi infilati al braccio, ecco gli stewards, nonchè tutti i dipendenti del Bari (dal custode a Garzelli passando per i giocatori) che, per amor dei colori e con grande senso della professionalità, si cimentano portando chi acqua, chi zucchero, chi pane e chi pasta alla struttura decadente quasi fosse, il San Nicola, un campo sportivo requisito per allestire une mega tendopoli.

Il tutto, occorre con amarezza ammettere, in un mix di indifferenza diffusa, moderata freddezza, prevenzioni varie decisamente inopportune e gratuite, con qualcuno (fortuna pochissimi) degli audaci spettatori che sfogano le proprie frustrazioni sui giocatori e sull'allenatore, reo di non aver ancora dato una fisiognomica di gioco (!!!) senza tener conto - costoro - però delle problematiche  susseguitesi nella scelta della rosa al netto degli altri problemi nel frattempo sopraggiunti, vomitando rancori le cui radici sono da ricercarsi in altre ere calcistiche, recenti, in cui Borghese, Torrente & C. ancora dovevano emettere il loro primo vagito. Ma a Bari, purtroppo, funziona così. E che nessuno osi smentirmi su questo.

Inevitabile, poi, che Torrente, allenatore giovane venuto a Bari con ben altre motivazioni e convinto di essere arrivato in una società storica (disse - si ricorderà - in sala stampa ad una mia precisa domanda, appena arrivato, poi riportato nelle varie testate: "Bari è storia, Bari è mito" mica disse le solite frasi di circostanza), e con lui i giocatori, percepiscono questa aria decisamente spettrale al punto che è inevitabile, poi, far fatica per imporre il proprio gioco che, guarda caso, in trasferta appare persino spettacolare a tratti. Ma le motivazioni sono diverse dagli altri anni allorquando il prato verde nicolaiano veniva calpestato dai vari Pizzinat, Markic e, se la memoria non mi inganna, tal Dimuri: allora il Bari, con alle spalle una parvenza societaria e non, invece, in autogestione come adesso, partecipava al solito campionato "anonimo" supportato da una parte di tifoseria, come sempre, stanca ma sempre presente ed attiva quantunque fosse convinta che quello a cui assistevano fosse, bene o male, gioco vero, stantio, brutto, arrancante quanto si voleva, ma pur sempre calcio vero attaccati forzatamente alle solite promesse marinaresche della famiglia Matarrese da sempre attenta più al calcestruzzo legato al potere istituzionale che al cuore in forma arrotondata dei tifosi. 

Oggi è diverso. Oggi si milita in un torneo di B provenienti da una retrocessione, credo, tra le più umilianti della storia ultracentenaria della Bari, tra partite (ormai è certo) sicuramente "aggiustate" a perdere (e non voglio essere cattivo), tra l'ammutinamento di taluni giocatori ad inizio torneo scorso che avrebbero dovuto fare la differenza, tra biblici infortuni mai accaduti fino adesso nelle società di calcio del mondo, manco gli infortunati si fossero trapiantati cuore, polmoni e milza tutti insieme e dunque abbisognandi dai 12 ai 24 mesi per recuperare, e tra sconfitte sospette come quella di Genova che, sono convinto, prima o poi verrà fuori al pari di altre, con il capro espiatorio Giampiero Ventura, colpevole di presunzione, di saccenza, e soprattutto di aver "messo Pulzetti a San Siro piuttosto che Rinaldi per marcare Maicon" (!!!!!): fortuna che almeno lui è stato riabilitato. 

Adesso no. Adesso si gioca in una situazione spettrale dove l'incitamento amorevole della curva,  ieri, sia pur con una metrica giambica rimata abbastanza puerile (non in senso offensivo ovviamente) come nella Cavallina Storna studiata alle elementari, all'unisono ha gridato, finalmente, contro la proprietà ma, per la serie mal comune mezzo gaudio, non dimenticandosi di puntare l'indice anche verso le istituzioni, non si sa mai anche per una questione di par condicio.
E uno stadio deserto dove il nemico è diventato padrone di casa a causa di questo strano mix di alcolici, non aiuta a dare continuità alla squadra allontanandosi dall'appuntamento dei playoff, mai stati alla portata come quest'anno.

A vederli, Bellomo Scavone e De Falco (soprattutto quest'ultimo), lì in mezzo al campo, svariare senza impostare e badando più a distruggere quel poco di gioco prodotto dagli avversari, col faro, ormai, piazzatosi sulle spiagge di Mondello a Palermo, fanno anche tenerezza. Così dicasi per Caputo e Castillo, terminali di una nave scontratasi contro gli scogli di una crociera maledetta. Con l'estrema giovinezza di Stoian, meno efficace delle altre volte proprio per la sua disarmante inesperienza, motivo per il quale, Torrente spesso lo leva dal campo (tranne che a Gubbio) tra le invettive dei tifosi i quali sono erroneamente convinti che "chi gioca bene non può uscire". Anzi, strano come ieri nessuno si sia ribellato alla sostituzione di Forestieri, stanchissimo per quel che aveva dato.

Le ingenuità, poi, sono le inevitabili risultanti di tutto ciò, perché sbagliare ci sta, ma riuscire, poi, a non recuperare avendo di fronte la barchetta di carta (mica la Corazzata Potemkin) qualcosa vorrà pure dire. Mai è accaduto che a distanza di 6 giorni si intravedesse un Bari funzionale al di la del risultato e assolutamente inconsistente il turno successivo. Troppo grande il gap per trovar spiegazioni nel gioco. E' successo, invece, in altri anni, che si sia pure vinto in trasferta ma senza tanto convincere, e poi, magari perdere in casa sfoderando anche ottime prestazioni. Ecco: è tutta qui la chiave di lettura.

Passare in 6 giorni di distanza dal Manzanarre al Reno non è una cosa comune se non nelle poesie. Lo dissi e lo ripeto all'infinito anche a costo di sembrare patetico e noioso, del resto non voglio imporre la mia idea a nessuno anche se, finalmente, molti si stanno ricredendo: quei giocatori, in casa, soffrono moltissimo la sindrome dello stadio vuoto come uno stomaco digiuno da tempo. Non vuole essere un alibi, per carità, ma solo semplicemente la descrizione della mera realtà che si respira al San Nicola da tutti gli addetti ai lavori e che va avanti da settembre. E, man mano che si è andati avanti, essendo precipitate tante cose, è sempre stato peggio. Ovvio che giocare (lavorare) in situazioni come queste non è affatto facile per chi va in campo, anzi, è terribilmente difficile per un manipolo di fanciulli inesperti non voluti, per la maggior parte, da Torrente, con quei due/tre arrivati a Bari nel post-ritiro non scelti da lui ma trovati già in tenuta di allenamento belli e pronti, senza, forse, nemmeno passare dalle visite mediche, in un afoso pomeriggio di settembre-ottobre da cui, tuttavia, leggendo il loro curriculum, si sarebbe dovuto aspettare quell'apporto d'esperienza in più necessario alla crescita dei giovani e a cui, invece, son venuti meno.

Inevitabile, dunque, affrontare il mare aperto di un torneo mai stato - meteorologicamente parlando - supportato dalla "bonaccia" come questo, come tante piccole Coste Crociere navigando a fari spenti nel mare nero battistiano, senza nemmeno l'unico faro ubicato sull' "Isola che non c'è" di, stavolta, bennatiana memoria, (quello della "seconda stella a destra", per intenderci) e dove le altre squadre, sicuramente più esperte, talassocrazzano a go-go. 
Tirate la linea e poi ditemi se è una questione di "impritur" torrentiano o di altro. Io dico di altro. Poi ognuno è libero di pensare come meglio crede. Fermo restando, come dico sempre, che gli errori li commetterà pure Torrente probabilmente ma, secondo me, a differenza di altri suoi predecessori - posto che ne commetta - è istigato a commetterli per i motivi suddetti. Anche Conte sbagliò in Avellino Bari, Bari Chievo e Bari Sassuolo, mi pare. 
Occhio, però, che non sempre si potrà recuperare quel che si è perso in trasferta.

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