15 gennaio 2012

Varese, la nebbia e i tre pali di Scarrone vendicati



La trasferta a Varese, tra potenziali emozioni, ricordi ed un presente che, oltre alla partita, andava parallelo all'Isola del Giglio e alla tragedia che ne aveva colpito il suo fantastico mare, non era iniziata sotto i migliori auspici. Atterrando a Linate, infatti, ad attendermi sulla pista c'era la nebbia, quella meneghina, che come per la musica di Finardi, ti vibra nelle ossa e ti entra nella pelle, quella del mitico signor Mezzacapa - consigliere di Totò e Peppino nel celebre film - il quale, nel ricordar loro che a Milano, anche in primavera inoltrata, "deve far freddo per forza", li ha messi in guardia dalla "nebbia che a Milano c'è ma non si vede". Ieri l'ho vista, invece, in tutto il suo fascino infernale: mentre l'aereo scendeva, non riuscivo a scrutare la terraferma che avrei, tuttavia, visto solo a 5 metri dall'atterraggio. E infatti, finalmente, dopo un sospiro di sollievo che non vi dico, l'ho vista ma soprattutto l'ho toccata. Inevitabile l'applauso al pilota. E' che atterrare senza la percezione delle distanze tra cielo e terra, non è il massimo dal punto di vista psicologico.

E la preoccupazione, per chi come me vive queste trasferte con uno spirito diverso da quello meramente cronachistico, ha cominciato ad incalzare. Strani presagi, infatti, mi hanno inquietato non poco.

Un bar attiguo allo stadio di cui ricordavo la sua capannina e qualche timido tavolino, non c'era più: al suo posto un'orribile costruzione cementizzata e globalizzata che ha spazzato via 40 anni di ricordi. Ma il grigiore dello stadio era lo stesso, e invariato m'è risultato il colore del terreno di gioco, tipicamente nordico, cromatizzato con quel verde giallino color freddo, mai verde, segno che, da queste parti, il verde netto lo si può trovare solo nei fazzoletti di Bossi e i suoi adepti. E basta. Un terreno, tra l'altro, messo male con le sue zolle alzate qua e la e scivolosissimo a causa del ghiaccio notturno. 

Mancavo dal Franco Ossola dall'ottobre 1973 allorquando il velodromo che delimita il terreno di gioco era ancora in piena attività: ricordo che fu proprio in questa occasione che vidi per la prima volta un pallone a scacchi bianco neri, per l'occasione calciato da un Butti in calzoncini corti, calzettoni abbassati e maglietta grezzamente indispensabile tutta bianca con lievi risvolti rossi sul collo, rimbalzare per le pareti ancor prive di rughe e infiorescenze qua e la per poi rotolare giù  fino al campo. Oggi quello stesso velodromo è diventato grigio perla, rugato dal tempo essendo in disuso, ma nonostante tutto ho rivisto posizionarsi nella mia atavica malinconica mente, come in un film di Tornatore, le sagome di Dancelli, Bitossi e Moser girare per la pista nella corsa della loro vita seduti su una sella. E come se non bastasse il grigiore del velodromo, ecco la voce gracchiante dello speaker, poco "hitech" e ancor molto poco stereofonica, scandire le formazioni delle squadre in religioso silenzio quando c'era da leggere quella barese, da Lamanna all'allenatore Torrente, e con una voce appena più tonica quando c'era da legger, invece, quella varesotta. Una voce uscente dall'altoparlante della tribuna tipica degli anni 70 che mi ha, di colpo, rimbalzato a 40 anni prima quando, come anticipato, andai a vedere un Varese Bari: non c'era più il gabbiotto di vetro dove vidi Pizzul fare la telecronaca di quella partita il cui secondo tempo, poi, avrei visto  intorno alle 18, sul "secondo canale"; ho rivisto d'un tratto la sagome di Pierpaolo Scarrone che prese ben 3 pali, e di Giacomino Libera in maglia biancorossa varesotta il quale, tanto per confermare la tradizione che vuole punito il Bari in questi casi, siglò il gol vittoria al 78',  Libera che - chi come me ha barba e  capelli bianchi ricorderà - qualche anno dopo, sarebbe venuto a Bari insieme a Gaudino.

Dalla tribuna stampa, tuttavia, ancor prima di assistere alla gara, lo spettacolo al di la dello stadio che si vedeva era davvero affascinante e spettacolare. Stendhal, del resto, nel vedere Varese da qualche cocuzzolo di uno dei monti attigui, non a caso, descrisse così ciò che vide: "Visione magnifica! Al tramonto del sole si vedevano sette laghi. Credetemi si può percorrere tutta la Francia e la Germania, ma non si potranno mai provare simili sensazioni". E come dargli torto. Anche se personalmente non ho visto nè laghi, nè Francia e nemmeno Germania, ma quei colli che, per una strana combinazione, sono sette come quelli di Roma, erano lì a circondare lo stadio, quel colore bellissimo del cielo che faceva pendant con il verde dei colli, col colore marrò di quelle case poste sulle cime, e l'odor di Lugano, appena dietro, a ricordarmi che "pa, pa pa pa pa pa pappa pa" e le scarpe da tennis bianche e blu di sana malinconia, erano ai miei piedi. Quella Svizzera verde di degregoriana memoria, lì ad uno schioppo che, se solo non ci fosse stata la partita, sarei pure andato a visitare. Ma tant'è.

Ed invece, calcio d'inizio e via. Libera e Scarrone hanno lasciato il posto ad un Bari messo davvero bene da Torrente che ha lasciato poco o nulla al Varese costretto più a difendersi dagli attacchi dei biancorossi che a rendersi pericolosi, un Bari che con i suoi 104 anni ha festeggiato alla grande il compleanno.
Ciccio Caputo ancora in preda ancora agli effetti afrodisiaci dei tartufi eugubini ha proseguito sulla strada del rilancio così da mettere in imbarazzo quel che rimane della dirigenza di un Bari spuntato su tutti i suoi rami, un Caputo che, pur tuttavia, non si è dimenticato di sbagliare la sua consueta razione di gol, giusto per non perdere l'abitudine.

Ottime le geometrie di Scavone, sempre più indispensabile a questa squadra, il dinamismo (finalmente) di De Falco, forse alla sua migliore partita da quando è a Bari, e al cuore di Donati il quale, ormai, ha abbandonato per sempre la qualità e la tecnica decidendo di giocare solo col cuore. Ma va bene lo stesso. Un centrocampo, insomma, bello a vedersi e solido ha fatto da contraltare una difesa dinamica, con il solito svarione di troppo, ma tutto sommato resistente agli attacchi dei varesotti. E poi l'attacco: con quello Stoian davvero imprendibile e sul quale occorre puntare per dare un senso a questo torneo magari con l'ausilio dell'esperienza di Castillo al quale è bastato quell'assist fornito a Stoian per dimostrare il suo valore oltre ad aver giocato una partita davvero giudiziosa. A volte basta poco per fare la differenza e Castillo, che ho sempre difeso per la sua professionalità, lo ha dimostrato con quella sola giocata, applaudita, peraltro, da tutti i colleghi presenti in tribuna stampa. Su Forestieri, invece, meglio attendere altre prove: ancora troppo a corrente alternata per poter giocare da titolare.

Distanze accorciate, ottimo senso della posizione di tutti, sin dal primo tempo si è capito che quella di Varese doveva essere una partita da vincere a tutti i costi nonostante la posizione in classifica del Varese e la sua significativa vittoria a Genova conseguita di rimessa. E infatti, dopo qualche fisiologico minuto iniziale del secondo tempo concesso ai padroni di casa di Maran (che in sala stampa mi ha chiesto di salutare tutti i tifosi del Bari), il Bari ha ripreso il pallino del gioco dettando tempi e imponendo il gioco senza sbavature ed, anzi, dimostrando persino una invidiabile tenuta fisico-atletica. I cambi di Torrente, azzeccatissimi e non dettati, invece, da motivazioni tecnico-tattiche-fisiche, han fatto il resto. 

Ho fatto una domanda specifica in sala stampa a Torrente: "Mister, risultato a parte strameritato, volendo trasposizionare Hitchcock al Bari (lui ha riso...) al posto del "delitto", ho visto una partita "perfetta". Ed in effetti lo è stata, ovviamente in relazione al contesto. Non una partita da lectio magistralis, si intende, ma sicuramente la migliore in assoluta, a tratti anche con del calcio spettacolo, dall'inizio del torneo.
E adesso con il recupero di Bogliacino, della preziosa esperienza, sia pur limitata di Castillo e Kutuzov, con Romizzi e con un minimo di entusiasmo che ha contagiato l'ambiente, come ebbi modo di dichiarare ad inizio torneo, aspettiamoci una bella lotta sulla parte sinistra della classifica perchè è lì che, di diritto, al Bari spetta di sostare in questo torneo con squadre blasonate ma di una mediocrità imbarazzante. 

E non fa nulla che alcuni tifosi si mostrano chiaramente prevenuti verso Torrente, anche ieri, infatti, ho letto qua e la sul web una certa gratuita prevenzione verso il tecnico esordiente: dispiace perchè evidentemente non hanno capito costoro (fortunatamente pochi) che Torrente lavora tra mille difficoltà e, nonostante tutto, ha raccimolato 31 punti, e se errori sono stati commessi, sicuramente i maggiori sono dipesi dalle ingenuità di determinati giocatori e non, come testardamente sostengono taluni tifosi, per certe scelte nei cambi. Mi consolo, tuttavia, non solo per le sei vittorie esterne (record) passate in secondo piano rispetto ai punti persi, ma anche perchè, verso Antonio Conte, probabilmente dagli stessi prevenuti tifosi, furono manifestate chiare sacche di insopportazione a prescindere. Per tutti, si ricordi, gira la ruota... e quando girerà per Torrente, non so se il tecnico accetterà le scuse. Sia chiaro. Una squadra nuova di zecca, composta da ragazzini inesperti, in un contesto societario particolare, ha bisogno di tempo. Molto tempo. Che se ne facciano una ragione chi contesta Torrente.

La tristezza e l'angoscia, dopo la partita, mi ha preso come miele (per dirla alla Guccini): la voglia di fuggire da quella landa lombarda era forte. E solo le consapevolezze di essere usciti vincitori dalla terra leghista e di aver vendicato i tre pali di Scarrone, mi han messo di buon umore. Le rive di Lugano erano a due passi. E la tentazione di andarci era tanta anche solo per comprare un cioccolatino, ma anche per sperare di incontrare Mina. Ma poi la tristezza e l'angoscia son di colpo sfumate e il sorriso mi è ritornato prepotente. Fino a questa mattina, a Malpensa, quando ho visto sorgere il sole: un ottimo auspicio per l'ultracentenario club barese e per la mia mente eternamente nostalgica. Con la benedizione di Giampiero Ventura, ieri sessantaquattrenne, col quale ho condiviso la vittoria manifestandogli i miei più sinceri auguri al telefono.

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