27 febbraio 2012

Panchina d'oro per Dolcenera Torrente


La notizia è quella che ti fa tornare il sorriso e che, in qualche modo, gratifica il lavoro e la coerenza  di  un uomo, di un giornalista, che ci aveva visto bene. E siccome in questo mondo nessuno ti (mi) regala nulla, anzi, ti (mi) rubano tutto, pure le idee - se permettete - mi autoincenso da solo visto che, tra le altre cose, non posso scriverlo su nessuna testata giornalistica ufficiale: lo faccio sul mio blog. Tanto è uguale come resa. Mi leggono.... eccome, accipicchia!

Vincenzo Torrente ha vinto la Panchina d'Oro della Prima Divisione assegnatagli, proprio stamattina, a Coverciano. Un meritato riconoscimento per il miracolo che il taumaturgo di Cetara (perchè di taumaturgo occorre parlare) ha compiuto a Gubbio, lì dove Francesco il poverello parlò con un lupo e dove la proprietà afrodisiaca dei tartufi contagiò sia me, a tavola, che Ciccio Caputo in campo.
E già: perchè chi riesce con un milione di euro appena a portare la squadra del Gubbio (mica dell'Atalanta) dalla C2 alla B in soli due anni levando i “galloni” di prima squadra umbra al Perugia, nonché alla Ternana,  non credo sia da tutti.

Vincenzo Torrente, da me affettuosamente soprannominato "Dolcenera" in relazione alla celebre canzone di Fabrizio De Andrè nella quale descrisse l'alluvione genovese del '70 - cognome eloquente a parte - riuscì, non a caso, a divulgare sana e moderata simpatia a Borno strappando persino sorrisi a tutti noi addetti ai lavori già provati da un finale di torneo tumultuoso, a noi consapevoli che un ciclo era finito per sempre anche perchè ne erano state sradicate persino le radici, dunque, sapevamo che non poteva rinascere alcuna gemma sul ramo biancorosso: si doveva seminare di nuovo e lui, debitamente individuato da Angelozzi, era l'uomo giusto giunto, tuttavia, al momento sbagliato...

Quel sorriso contagioso misto a simpatia torrentizia che man mano che scende dai colli di quella Bolzaneto murgiana si alimenta, si introbidisce e si ingrossa diventando un vero e proprio fiume in piena che, trasposizionandone il significato, ho pensato potesse trascinare e coinvolgere i depressi tifosi baresi, quelli veri e non quelli finti, fino alla foce ramificata ad estuario del Bisagno di San Girolamo incuneandosi tra più armoniose e allegre situazioni.

Uno squarcio di sereno nel cielo torbido trapunto di sospetti, cattiverie e malvagità, dunque, che sta affondando la caravella barese per colpa di qualche imbecille di troppo e da cui trarre significativi segnali positivi. Un riconoscimento che dimostra, a quanti si dichiarano ancora scetticci, il valore indiscusso dell'allenatore che ci ha saputo fare sempre coi giovani ovunque sia andato: a Gubbio due promozioni, un “Viareggio” vinto coi giovani del Genoa, tre “secondi posti” nel torneo Primavera, senza dimenticare una salvezza in B con Onofri esonerato, senza patentino. E parlo solo di panchina, ovviamente: evito di ricordare le gesta omeriche dell'Anfield Road di Liverpool col suo mitico Genoa, a tinte malinconiche dove tutta l'Italia, tout-court, davanti alla tv, all'ultima tv decente, si scoprì tifosa del Grifone.
Un allenatore arrivato a Bari con ben altro spirito pur consapevole che qualche problemino c'era, ma che mai avrebbe pensato di trovare una così devastante situazione e consapevole che questa opportunità poteva diventare un punto d'arrivo per la sua carriera viste le potenzialità di questa città e considerata la sua abilità coi giovani, mix teoricamente esplosivo per fare grandi cose spinto dai 30-40 mila del San Nicola. Ed invece le cose non sono andate esattamente così.

Ma Dolcenera abile psicologo e – se permettete – anche eccellente pedagogo sportivo, è riuscito con la sua tumultuosa piena genovese a farsi “scivolare tutto” dai suoi impermeabili - a proposito di Genova - decantati da Paolo Conte, relegando il marcio fuori del letto del Bisagno barese, in questo caso fuori dal Canalone di Fesca, riuscendo a raccimolare ben 41 punti fino adesso raccogliendo 8 significative vittorie fuori casa, segno inequivocabile della sostenibile leggerezza kunderiana dell'essere biancorssa fuori dalle mura amiche, all'interno delle quali, invece, si respira aria torbida e spesso pure male odorante di prevenzione pregna, talvolta, di stupidità macroscopica.

Bravo Vincenzo: voglio, anzi pretendo, che proprio lui mi dia atto della mia coerenza nei suoi confronti sin da Borno. Sono stato l'unico ad averci visto bene sin dal primo giorno in ritiro a cominciare da quando lo vedevo mentre "corteggiava" Gazzi affinchè rimanesse in Val Camonica: sguardo più truce, invece, immagine del primo sussulto stampata sul suo sguardo quando, impotente, vide il rosso oplita spartano abbandonare per sempre il ritiro col trolley.
E a proposito di immagini, quella callimachea con la cartellina sotto il braccio zeppa di chissà quali appunti come un professore di latino e greco, lì, al centro del campo di allenamento, in tenuta verde, ad attendere i "certamen" oraziani quasi come un docente in attesa dei discenti travestiti da giocatori che alla spicciolata lo avrebbero circondato e lui, da buon evangelista, a catechizzarli come il Maestro di Pietralata, non mi ha lasciato indifferente anche perchè non ho bisogno di carta e penna per prendere appunti dal momento che certi fotogrammi mi rimangono ben impressi nella mente come dei files inviati tramite e-mail.

Bravo Vincenzo: che continui così, gli estimatori - dati alla mano - non gli mancano e vedrà che, a differenza del mio amico Antonio Conte che, pur con la sua indiscutibile bravura, aveva già la strada spianata nel gotha del calcio, quando le nostre strade si separeranno, potrà raccontare altrove che la sua gavetta l'ha fatta eccome, dal momento che un anno di questo Bari vale ben 10 anni in una squadra qualsiasi in termini d'esperienza. E quella panchina d'oro sarà il suo pedigrèe da mostrare a molti. Sono stato il primo a dirglielo: chissà se lo ricorderà. E quante altre cose gli ho detto anticipando sul tempo molti colleghi... Ma ve bene lo stesso.

E se cambierà ancora Stoian o Forestieri per Galano, che prosegua su questa strada in maniera ostinata e contraria: solo i prevenuti, le “Mogli di Anselmo” genovesi dimenticano che sta gestendo un manipolo di discenti, spesso, troppo ruspanti coi quali deve usare bastone e carota per mantenerli 100 minuti in campo. E' un maestro di giovani, dunque, chi meglio di lui sa come gestirli?
E soprattutto lasci che, finalmente, un bel dì gli si potrà muovere qualche critica, posto che se le meriterà, quando lascerà Bari: sicuramente qui qualche errore lo avrà, fisiologicamente, commesso - non si discute - ma in tutta onestà, in questa situazione, risultava oggettivamente difficile pure pensare di criticarlo, considerate le alternative, ma credetemi, sono stati pochissimi e inevitabili, ripeto, posto che ci siano stati.
Sembra un commiato invece è un applauso. Infondo non cambia molto...
Complimenti Dolcenera

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