8 marzo 2012

Il Bari di Torrente a Brindisi tra scelte significative e archeologia


E mentre dai volti dei tifosi no-tav del Bari sgorgano rigoli di tristezza insieme agli affluenti impetuosi di rabbia, rancore e vendetta ingrossati, giorno dopo giorno, dalle piogge copiose mediatiche che puntualmente colpevolizzano ora quello, ora quell'altro personaggio apparentemente al di sopra di ogni sospetto rei, secondo i tifosi, di aver tradito quel che è loro più caro, accomodati silenti e pazienti sulle panchine del Lungo Sand Creek barese in attesa di veder trascinati via dalla corrente i cadaveri indiani dei traditori giudicati nei tribunali intiepiditi dalle temperature appena primaverili delle idi di marzo cremonesi, sinergicamente a quelle baresi, in attesa impotenti di una penalizzazione che, punti a parte sottratti per i capricci fiscali societari, - dicono  - dovrà assumere un carattere punitivo piuttosto che penalizzante in classifica, ecco, invece, che il Bari di Dolcenera Torrente, neo taumaturgo barese che che ne dica qualcuno (anche se, ho notato, molti si stanno ricredendo), viene invitato per festeggiare il centenario del Brindisi Calcio, quella squadra le cui magliette – ricorderanno i vecchi rimbambiti come me, amanti di un calcio in banco e nero e pulito che non c'è più - recava quella mitica V bianca sul davanti, un po' come quella del Brescia di cui avevan pure i colori identici.

Insomma, una pagina da libro cuore per i calciofili baresi e pugliesi tutti i cui risvolti, forse, non sono stati decodificati in tutta la loro magnificenza dai tifosi, ahimè, più protervamente inclini a criticare lo stramaledetto cambio di Stoian che, per colpa loro, ha subito la nota involuzione, o quello di Masi per il Generale Kutuzov, gettato in campo per dar manforte ad una difesa in crisi di ossigeno o, peggio, ad accusarlo di badare troppo a difendersi senza conoscere i fatti veri quali sono. Dunque quella brindisina una bella pagina di calcio, di amicizia e anche di solidarietà intesa non come “pìetas” cristiana, ma come solidarietà tra popoli vicini. 

E già, perchè in questi casi, come la norma agendi pallonara vuole, per un anniversario così importante da festeggiare come lo è stato quello dei cugini brindisini, già passati dai gironi infernali di fallimenti e quelli di periodi bui da cui, faticosamente e lentamente, si stanno riprendendo dopo i fasti di Sensibile, La Palma e Vinicio degli anni 70 (dove, per la cronaca, io c'ero al Fanuzzi di Brindisi per vedere le relative gesta miste a quelle di Tentorio e Spimi), si tende ad invitare una squadra prestigiosa di serie A come il Milan, pure senza Ibra sarebbe andato bene lo stesso, o l'Inter magari già potata dei rami canuti e, chissà, trainata a questo punto pure da Plinio Suarez il Vecchio in panchina, oppure la Juventus di Conte che come una locomotiva sbuffeggiante arranca al secondo posto, ma anche una Roma qualsiasi sarebbe andata bene atteso che, infondo, un aeroporto efficiente è proprio lì a 300 metri dallo stadio. Ed invece no. Nemmeno alla società di serie A distante 15 chilometri hanno pensato: hanno scelto il derelitto Bari, ex squadra calcisticamente nemica.

Ora non sta a me giudicare le ragioni e le motivazioni per cui la dirigenza brindisina abbia scelto il Bari piuttosto che il Lecce o una qualsiasi altra squadra per suonare il “gran pavese” pallonaro; probabilmente, a monte dei presunti dinieghi, avranno influito motivi riconducibili ad impegni vari europei, ad altri logistici e, diciamolo pure, anche a presumibili motivi legati ad una sana, comprensibile e civile inopportunità, ma il fatto che si sia scelto di festeggiare il centenario col Bari calcio la dice lunga, secondo me, della considerazione che la Puglia ha ancora sulla squadra ultrasecolare biancorossa, da sempre squadra più importante della regione, quella che - pensatela come volete - ha pur sempre 33 anni di militanza, più o meno onorevole, in Serie A ed altrettanti in B. Dunque la prima della classe da sempre. 

E Dolcenera Torrente, ancora una volta, anche se in versione amichevole, è riuscito a dare continuità al suo teorema esterno con l'ennesima vittoria fuori casa. Avrà pure una valenza relativa ma - fateci caso - il personaggio uscito dalla mia fantasia deandreiana, le amichevoli le ha vinte tutte: dalle 6 di Borno a quella di Fiuggi col Real Sociedad, da quella di Bisceglie a quella di Monopoli, da quella col San Paolo Bari a, dulcis in fundo, quella di Brindisi. Saranno pure di scarsa rilevanza ai fini della resa ma, a memoria d'uomo, non ricordo un trend così positivo nelle amichevoli. Nemmeno ai tempi di Conte, Ventura, Oronzo Pugliese o di Fascetti, allorquando tra un dannato Lumezzane e un inaspettato Barletta o, magari, un Bath City con Ambrosi e Sciannimanico incazzato come non mai, sistematicamente si beccava una mortificante sconfitta sin dal ritiro. Era un classico. Quest'anno mai.

E se penso che il Bari è tornato a giocare là, dove viaggiatori viaggianti si lasciavano dondolare dalle bighe romane trainate da puledri affaticati per aver attraversato tutta l'Apulia Siticulosa di oraziana memoria attraverso la Via Traiana, là dove imperatori e mercanti decidevano di fermarsi all'autogrill di Egnathia per abbeverarsi e riposarsi salvo, poi, riprendere il cammino verso Brundisium da dove sarebbero salpati per aggiungere chi terre d'Oriente appena conquistate e governate da appositi consoli, chi cleopatre varie pettinate, se penso che da lì c'è passato Strabone, Plinio, Orazio e, verosimilmente, pure Ottaviano Augusto e Cesare per recarsi in Grecia o Egitto chi a combattere battaglie come quella di Azio, chi a concupire more affascinanti di dinastia tolomea, beh, chi mi conosce capirà perchè considero quella di ieri a Brindisi non una semplice amichevole ma qualcosa di più.
Mi auguro fermamente che il Brindisi Calcio torni ad indossare la V sul petto, ma non perchè “se lo merita” come si tende a dire, un po' ipocritamente, in questi casi, ma perchè Bundisium al pari di Barium, è storia. E forse anche leggenda.

Nel frattempo il mio applauso coerente e sincero va dritto a Dolcenera Torrente per essere arrivato, insieme ai suoi compagni di viaggio, indenne fino a questo momentaneo traguardo, nonostante qualche rimpianto di troppo, dopo un viaggio odisseaco lungo e tortuoso zeppo di imprevisti e che,  come Ulisse, ha saputo affrontare e superare brillantemente con coraggio rimanendo sordo al tam tam mediatico che vorrebbe il galletto barese già al girarrosto con patate e rosmarino, sordo pure al richiamo ammaliante di sibille cumane color etneo-cagliaritano che non lo hanno distratto dal governar i rematori - alcuni dei quali ancora grezzi - della nave nonostante qualche fisiologico errore dettato, come ho sempre detto, dal vento contrario dovuto a scelte obbligate o, piuttosto, dalla sua squisita e ferma semplicità nel gestire una rosa spesso e volentieri incompleta, e quindi per essere riuscito ad estraniarsi da questo contesto dal quale non si prevede nulla di buono, solo rombi di tuono, mare in tempesta e, quindi, situazioni affatto rassicuranti per la passione biancorossa, col pensiero alla sua adorabile Penelope tessitrice del tempo ad attenderlo lì, nella loro casa in riva al mare da dove - beati loro - scrutano le varie “Creueza de' ma” tipicamente genovesi, là dove “il sole del buon dio non dà i suoi raggi”.

Sicuramente la salvezza del Bari varrà per Vincenzo Torrente la promozione in altre sponde più sicure dove, approdando, troverà nuove Itache più tranquille e, sicuramente, più prestigiose. Il suo lavoro a Bari non passerà inosservato.
La Via Traiana la ripercorrerà, stavolta, al contrario dopo aver svolto appieno il suo dovere ed io, il mio Monumento, stavolta non al Marinaio Brindisino ma ad un allenatore che avrà compiuto un vero miracolo in questo stramaledetto momento nonostante il gran lavoro della dirigenza, lo farò. Sul Molo Borbonico del Porto di Bari. E non voglio nessuno dei no-tav biancorossi tra i piedi perchè chi non comprende le sue gesta in questo particolare momento, chi si permette ancora di criticarlo per una scelta apparentemente sbagliata, chi lo critica di troppo difensivismo (col quale ha vinto, però, due tornei consecutivi, un Viareggio, è arrivato alle fasi finali del Campionato Primavera quasi al tricolor, senza dimenticare la salvezza in extremis col Genoa quando, ancora senza patentino, sostituì Onofri in B) assomiglia a quel signorino viziato dei no-tav in Val di Susa che blaterava contro quel famoso poliziotto pasoliniano. E quel poliziotto, per me, è proprio lui: Vincenzo Torrente. E di gente come quell'ebete del no tav ne ho incontrata già abbastanza sulla mia Via Traiana. Dunque, posso farne a meno. Chi vorrà costruire con me il monumento dovrà essere obiettivo e coerente e non idiota.
ML

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