2 maggio 2012

Dolcenera Torrente e Cesare Pavese



Un'immagine crepuscolare, quasi pavesiana, ha fatto capolino nella mia mente oggi al San Nicola sin dal pre-partita, una di quelle immagini che, probabilmente, col calcio non centrano granché ma che per il mio modo di vederlo, di fatto, centrano eccome, un'immagine che però ha lasciato il passo, a fine gara, ad un'altra più speranzosa, luminosa e astronomicamente più albeggiante rispetto alla prima e che non era dovuta al sole quasi a picco di questo primo maggio barese torrido decisamente più da mare che da Ascoli Piceno, cittadina straordinaria al sapor di Alfredo Hoffman, nonostante fossero le 17, ma a quella più sana e malinconica di uomo solo, uno di quelli che non appena prova a mangiar una mollica di pane, torna subito nell'indifferenza carceraria a bere acqua fredda e pane raffermo.
Si, sto parlando di Dolcenera Torrente, l'allenatore del Bari il quale, una volta salito in campo alle 14 coi ragazzi per dirigere gli ultimi riscaldamenti prima di giocare contro i simpatici e forti marchigiani mentre, invece, la Sampdoria con due tiretti in porta di due attaccanti, Pozzi ed Eder, vincevan la gara (beati loro che ne hanno), io ero lì nella decadente tribuna stampa ormai abbandonata al suo destino quasi come una centrale nucleare abbandonata da 1000 anni in compagnia degli stramaledetti ragnetti rossi schiusisi dalle altrettante stramaledettissime mini-uova che sembravan avere la meglio sul pc, sui fogli, sul mio telefono e persino sui miei vestiti, senza i miei agognati ricci cui ieri, secondo le regole ferree, cadeva l'ultimo giorno utile per divorarli, a guardar il vuoto pneumatico del San Nicola snaturato della sua utilità per il quale fu costruito, scrutando, sebbene da lontano, il volto di Torrente quasi rassegnato davanti allo spettro dello stadio, abbandonato da tutti meno che dai 2000 stoici, e che da un anno sta tirando la carretta senza motore e senza benzina con grande responsabilità senza badare ai pochi, due-tre, Maya baresi che vorrebbero botte piena e moglie ubriaca ma soprattutto che vorrebbero sfogare le proprie ire funeste matarresiane su di lui. Invano.

Un volto difficile da descrivere ma facilmente comprensibile per uno come lui che oggi, come sempre, doveva fare i conti con l'indifferenza oltre che con l'Ascoli. Un uomo solo che, rievocando Pavese, sembrava ripensar ai campi tanto da sembrare contento di averli arati per ottenere il massimo risultato. Quel suo incedere tipico di un allenatore sfortunato ma nel contempo gladiatore che mai si è arreso alle avversità di quest'anno maledetto che, sono certo, gli varranno come 10 anni di esperienza altrove, lì dove conta, quella sua rassegnazione mista alla professionalità non mi son passate inosservate, almeno a me, da sempre attento a certi aspetti piuttosto che al numero dei corner o a quello di una traversa ancora traballante: passare, infatti, indenne un anno come questo a Bari concede un passaporto automatico per ogni dove. Del resto c'è già chi se ne è accorto. 
Un uomo che, forse, è arrivato qui nel momento sbagliato e che sospinto dalla sua professionalità è riuscito a fare davvero un miracolo, un "Miracolo a Bari", insomma, irripetibile perché qui a Bari i miracoli durano, dati alla mano, il volgere di un anno solo. Seppure. E quella immagine crepuscolare, come dicevo all'inizio, di fine gara ha lasciato il posto ad una nuova alba davanti a me che si è tradotta nella soddisfazione di aver passato indenne una gara, l'ennesima, abbastanza noiosa, priva di emozioni particolari e tatticamente molto equilibrata non foss'altro che ad incontrarsi erano due squadre con un punteggio più da playoff che da seconda parte della classifica, risolta alla fine da un fisiologico 0-0, giusto e sacrosanto, con due occasioni clamorose per parte e, forse, qualche importante opportunità in più per il Bari derivanti, però, non dalle punte spuntate ma dai difensori. L'importante, in questi casi, era far punti e al di la del rimpianto giocato all'ombra di un aprile, il Bari ha guadagnato un altro punto alla sua traballante classifica. Senza attaccanti.

E allora quell'immagine crepuscolare delle 14 quando lui vede lo stadio deserto e che sottovoce prova a dirigere il riscaldamento, quando un ciuffo d'erba si innalza all'incedere di Crescenzi, ha lasciato il posto a quell'altra più solare nonostante fossero le 18: Torrente era riuscito a superare indenne un esame difficile al netto degli attaccanti col crepuscolante Castillo lì davanti al cospetto di un Ascoli che poteva permettersi, come tutte le squadre fin qui incontrate Papa Waigo e Soncin addirittura in panchina e due attaccanti di categoria, niente male, come Falconieri e Gerardi in campo. Leggo sempre le formazioni di ogni squadra che incontra il Bari e più le vedo più mi rendo conto che tutte - e ripeto tutte - hanno tra titolari e panchinari mediamente dai quattro ai cinque attaccanti di categoria tra le fila, molte delle quali li fan partire dalla panchina, come Sampdoria ed Ascoli ma non solo queste, come dico sempre per la bile di taluni, dati alla mano. 

E se penso che il Bari di Torrente è riuscito a racimolare ben 52 punti con la massima espressione d'attacco che ha realizzato "ben" 7 gol, peraltro con un mese e mezzo di squalifica balorda, se penso che la squadra ha iniziato l'anno calcistico con due punte che sarebbero dovute partire dalla tribuna (nemmeno dalla panchina), allora non posso non pensare al miracolo e dare una spiegazione logica al sole uscito nel pomeriggio. Quel che pensano gli altri, poco obiettivi, mi importa molto poco.
E se penso che poi gli unici che ci han provato nel secondo tempo dopo aver giocato ad una porta, dunque creando gioco e manovra (solo gli orbi non l'hanno visto) sono stati Polenta ed un ottimo Scavone, oltre a una punizione di De Falco, direi che non ci sia altro da aggiungere.

E adesso coraggio Dolcenera: il primo mattone per erigerti quel monumento promesso in tempi non sospetti per quello che stai facendo è pronto lì insieme al cemento: speriamo di ottenere subito questi due-tre punti che ci separano dal salvezza matematica e poi mi vestirò da operaio perché sono certo che nessuno avrebbe saputo far meglio di te in questa situazione. E con me tutta Bari a partire dai ragazzi commoventi di curva finendo ai tifosi delusi dalla società. Gli altri come sai e come hai avuto modo di capacitarti, quelli che volevan e pretendevan lo spettacolo da ragazzi più o meno capricciosi e taluni poco disciplinati e da una rosa in eterno laboratorio a causa di squalifiche assurde, altre meno assurde, da infortuni che avrebbero potuto competere con quelli dello scorso anno, quelli che non hanno capito, o non hanno voluto capire pur accorgendosene, della croce che ti sei preso senza che nessuno te lo abbia chiesto nel tener lontano i ragazzi dai fattori esterni e da tanti mille altri problemi, non fan testo. Le minoranze etniche vanno sempre rispettate ma se vogliono essere rispettate devono imparare a rispettare e a comprendere i contesti senza pretendere la luna dal pozzo. Altrimenti, in attesa che l'umiltà faccia capolino sulla loro psiche perversa, possono pur sempre crogiolarsi nel guardar Guardiola o Conte. Mica c'è solo il Bari.

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