16 novembre 2012

Capitolo Rosso: Quei Bravi manzoniani baresi



Adoro questa tipologia di gare, poco "sansiriane" e molto trash inteso come compagine priva di blasone - è bene chiarire - dunque con tutto il rispetto per la simpatica squadra abruzzese allenata, peraltro, dal buon Carmine Gautieri a cui auguro di salvarsi, lì dove il Bari "non può" perdere, anzi, "deve" vincere a man bassa visto lo spread storico tra le due compagini perché volete mettere, mo', il Bari dei due gol di Biagio Catalano a San Siro, di Mujesan, di Iorio, di Protti, di Joao e di Barreto, benedetto iddio, col Lanciano, per giunta pure preceduto dall’aggettivo Virtus?
E Lanciano, ennesima location beckettiana dell'assurdo calcistico, potrebbe essere “L'ultimo metrò” truffautiano per Torrente accompagnato dalle prime note del de profundis, debitamente supportate dai Bravi locali già in azione da qualche giorno.

Così impara, Dolcenera, a compiere un primo miracolo lo scorso anno quando, indossando vesti a campana di più figure professionali necessarie al metaforico orfanotrofio di Via Torrebella, ha dedicato solo i ritagli di tempo al mestiere che gli riesce meglio visti i risultati fin qui ottenuti, ovvero a quello dell’allenatore, riuscendo tuttavia a salvare la squadra dalla C e allontanarla dalla palude dell’indifferenza mista a rabbia e depressione sacrosante derivanti dalla retrocessione amara e velenosa di due anni fa, facendola arrivare addirittura decima in classifica incorniciandone il traguardo persino da qualche numero lusinghiero.
Un traguardo prestigioso conseguito quando tutti - e ribadisco tutti - tranne me la davano per spacciata, badando, contrariamente al suo credo calcistico, quello con cui ha vinto per due anni di seguito in Umbria e pressoché sempre nelle giovanili del Genoa, al sodo senza tanto spettacolo per quanto lo desiderasse anch'egli, sbagliando fisiologicamente in buona fede come Conte con il Chievo, l’Avellino e il Sassuolo ma che però, al pari delle figuracce rimediate da Perotti, Carboni, Pillon e Maran con giocatori sicuramente più esperti e di categoria quantunque alcuni fossero davvero imbarazzanti, non sono mai stati contestati e criticati al pari di Torrente, con giocatori arrivati un po' forzosamente a causa della mancanza di denari, ed altri scelti, sì, da lui ma tra un ventaglio di personale abbordabile a costo zero. 

Detto papale papale, mai e poi mai, Torrente, se solo avesse avuto qualche garanzie economica in più, avrebbe pensato di dare una seconda possibilità al desaparecidos Rivaldo nello spirito dell’autogestione proprio perché, arrivando a Bari, si trovò davanti ad una situazione diversa da come gliel'avevan descritta, pur sapendo dei problemi societari ma che mai e poi mai credeva dovesse assumere tali proporzioni, in un macramè infernale tra passaggi di tempo nell'Agenzia delle Entrate e di Equitalia, tra puntatine all'Ufficio del Lavoro e alle Procure varie, e tra mille altri problemi quando invece il solo obiettivo doveva essere rafforzare la squadra di calcio. Arrivare a Bari, per Torrente, voleva dire toccare il cielo con un dito, arrivare ad un traguardo prestigioso che gli avrebbe permesso di sbarcare in A quanto prima, mica voleva dire sedere sulla panchina del Foligno o della Ternana.

E insieme ai due acerbi, ma non per questo potenzialmente forti, Bellomo e Galano e ad altre scommesse (alcune delle quali azzeccate ma, ahimè, destinate a far ritorno alle basi a fine anno: Forestieri e Stoian su tutti) e con l'apporto d'esperienza sia pur al 20-30% di Bogliacino, De Falco, Donati, insieme a De Paula, ha allestito una squadra dignitosa accettando Bari che, lo ricordo, secondo lui, "non è un'avventura ma storia, leggenda". Ma questo, certa stampa e i Bravi lo dimenticano. O, meglio, lo sanno ma fa comodo non ricordarlo al momento opportuno dovendo trovare in fretta un colpevole.

E così impara, Torrente, ad aver fatto maturare, grazie alle domeniche passate saggiamente tra tribuna e panchina, Nicolino Bellomo, scelta non condivisa dagli analfabeti amanuensi baresi del calcio (a differenza di tanti altri che, pur storcendo il naso, han capito ed apprezzato la scelta) arrampicatisi come volpi esopiane sulle uve acerbe della discussione, e giunto, invece, ai giorni d'oggi maturo e pronto al lancio nel calcio che conta. Al pari di Romizi, Ceppitelli e di qualche altro ben gestito dal Magister di Cetara.

E così impara, Torrente, ad azzerare il gap dei 7 punti in tre partite sole, con una squadra priva pure del 20% della suddetta esperienza (Bogliacino, De Falco, Donati e De Paula) innestata da dilettanti, dalle solite belle speranze, da personale della Primavera e supportata da qualche giocatore d’esperienza ma il cui peso specifico non è esattamente pari a quello dei suddetti dello scorso anno sia pur al 20% (perché Bogliacino e De Falco han reso più o meno su quelle percentuali), ottenendo fino adesso 19 punti piazzandosi idealmente in zona playoff ma di fatto in zona playout rimanendo, adesso, senza attaccanti di peso e dovendo far affidamento alla Madonna delle Mura megalitiche di Altamura affinché il suo figliolo prediletto possa sbagliare qualche gol in meno e a qualche intuizione di Grandolfo e di Fedato che, si sa, non possono competere con gli omologhi attaccanti delle altre squadre in termini di esperienza. Ma per i Bravi "bisogna che faccia giocare Grandolfo! Diamine".

E siccome alla fine, come sempre, a vincere saranno le minoranze etniche, quei pochi che sin dall'inizio non lo hanno mai potuto digerire a causa della mia difesa ad oltranza (dunque per mero spirito di patate) e perché abbagliati ancora dalle giocate di Kamata, Swarowsky Barreto e Mr. Muscolo Almiron, non riuscendo a far divertire le loro cloache optometriche perché, secondo la loro dottrina, o ci si diverte o si caccia via, vedrete che Torrente salterà subito. In un momento - è appena il caso di ricordare - in cui gli amministratori del Bari calcio che si stanno facendo, nel vero senso della parola, “un mazzo così” (quando ci vuole, ci vuole) dopo le dismissioni dei Matarrese che attendono, forse, segnali più precisi dalla politica, sopravvivendo tra mille peripezie in autogestione, cosa unica nel panorama calcistico italiano. Con questa resa, ovvero rimanendo ancora in B e risultando, di fatto, sesti in classifica sia pur in momentanea caduta libera.

Ma la colpa è solo di Torrente. Lontano da me sperare che il Bari perda a Lanciano, cosa peraltro da mettere in preventivo, ma semmai dovesse perdere, malauguratamente, fossi in Torrente, dopo tutto quello che ha fatto per il Bari rinunciando a società più sicure e sposando la causa Bari sia per convinzione sia per sfida, abbandonerei la panchina. Si avete capito bene. Spero si dimetta e torni nei quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi, in quella Via del Campo tanto cara a Faber. Perché l'ambiente locale non merita un Signore come lui indotto ad errori fisiologici e sempre sotto pressione. Del resto, "bisogna lasciare qualcosa alle persone per farsi ricordare, per far capire che stare con me non è come stare con chiunque". Peccato che Torrente, però, per quanto ne so, essendo un Ulisse del terreno verde, dunque un combattente nato, non abbandonerà mai la nave. Semmai verrà buttato giù.

Ho la coscienza in ordine, almeno quella, visto che altre cose sono in palese disordine: nella vita ci vuole dignità e coerenza; io avrò mille difetti, diecimila lacune e non son mica certo se ci voglia coraggio perché la paura non ha mai avuto la meglio su di me sebbene, talvolta, abbia avuto il timore di cedere. E' che non ho mai rinunciato a collegare la testa al cuore. A differenza di altri. Tutto qui il mio segreto.
E poi, scusate, ma la stupidità degli altri mi affascina molto – mutuando Flaiano - ma preferisco la mia.
"Ab uno disces omnes", diceva, infine, Virgilio a proposito dei greci secondo cui bastava vederne uno per capire che eran tutti traditori e bugiardi.
E domani vado a Lanciano. Ritorno in campo. Speriamo definitivamente.

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