13 gennaio 2013

Dura lex sed lex: tra Borghese, Ventura e l'assurdo Paese



Capita, talvolta, come certe notizie riescano a dare, spesso e volentieri, il colpo di grazia a quanti, storicamente, cercan di occuparsi di calcio attraverso, però, non più penne, tastiere e supportati da indomita passione mista a cristiana rassegnazione, ma sviluppando aree, perimetri e teoremi con righelli, compassi e goniometri di geometria esistenziale a causa dello sfiguramento della sfera pallonara per cercare di capirne ancora qualcosa e, di conseguenza, descriverne qualche scena.



E per me che, limiti, lacune e difetti atavici a parte, mi reputo ancora uno di quelli che legge e guarda il calcio diversamente dal mondo intero, come un migrante dorico alla ricerca di un luogo dove erigere una capanna quasi paleolitica alla ricerca di un anfratto dove poter scrivere liberamente di pallone, solfeggiando tra un do minore e un fa diesis bemolle, ed una terzina poco trimetramente giambica o asclepiadea rendendola, forse, più carduccian-pasoliniana (a costo di far terra bruciata tra i lettori) e che tenta di tracciare trame di gioco con l'assenzio di Baudelaire e con la lucida follia di Beckett, è più facile, infatti, descrivere le gesta poco eroiche di questo calcio di cui, in tutta onestà, comincio a far fatica a reggerne il peso specifico nonostante abbia trovato posto privilegiato per descriverlo, quello dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono stati occupati da altre voci.

E ieri, dunque, due le notizie che mi han messo ulteriore tristezza e rabbia. Una certa, l'altra meno - anzi, tutta da dimostrare - quasi a significare, ed anzi, a dimostrare che l'Italia (Bari non ne parliamo) è davvero un Paese assurdo: del resto, in un Paese senza memoria storica (o quasi), dove cultura e valori non hanno più alcun significato, dove si antepongono sciocchezze, sketch televisivi sotto forma di tribune politiche e starlette varie, dove imperversa il ciarpame mediatico piuttosto che il sano disquisire, in un Paese dove si ha la sfacciataggine di dare il lasciapassare alla candidatura di un certo Sig. Moggi senza proferir parola, si fa fatica davvero a scrivere qualcosa, anzi, si corre il rischio di essere presi a finocchi in faccia. Ma corro volentieri il rischio. Chi se ne frega Del resto sono orgogliosamente abituato.

Da un lato, la disperazione contenuta, dignitosa ma irruente, di Martino Borghese che avevo appena sentito, il quale, con la voce ancora incredula, quasi riuscissi a vedere quei suoi occhi grandi e pregni di improvviso stupore, non riusciva ancora a capacitarsi per certe scelte societarie, rispettabili nella loro natura, ma che lasciano un inevitabile retrogusto di amarezza, sicuramente più di qualsiasi altro distacco, non foss'altro per il suo evidente - unico nel suo genere - attaccamento alla maglia che, forse, sin dai tempi gloriosi di Giovanni Loseto, Edi Bivi ed Igor Protti (inteso come periodo storico, dunque non solo loro tre) non si vedeva così marcato.


Una istantanea fotografica in cui lui, ultimamente, si è specializzato entro la quale ha tentato di trasmettermi quel comprensibile senso di incredulità mista a giustificata rabbia per il passaggio improvviso e, forse, inaspettato, dalle vaste lande periferiche baresi, in odor di Bitritto, alle risaie di Vercelli dove le zanzare son grosse "così" rispetto a quelle di qui. Tigri incluse.

E' quel "lai" tendenzialmente malinconico che non mi ha lasciato affatto indifferente, un lamento tenero e nascosto tra il suono lontano delle sue parole trasudante di stupore transustanziatosi in una romanza triste e lieve. Ecco, insomma, tradotto in soldoni, mi è parso parecchio intristito per la scelta imposta dall'alto al punto che, sensibile come sono, ha fatto calare una cateratta di tristezza pure alle stanche palpebre del sottoscritto.


Non starò qui a giudicare la scelta societaria di disfarsi di un granatiere quirinalesco, come spesso l'ho paragonato nei miei scritti corsari, che avrà pure commesso qualche errore come ne han commessi tutti e come ne commettono anche Messì, con l'accento sulla i, e quant'altri, ed anzi la rispetto perché, evidentemente, ci sarà un motivo valido, ma diosanto, lasciatemi esternare quel moderato senso di mestizia che fa pendant con l'attuale momento calcistico. Barese in particolare.
Le scelte societarie, quelle di un'azienda, vanno rispettate sempre quantunque, spesso, possono risultare non condivisibili. E forse, in questo momento, lui non rientrava più nei quadri societari nonostante qualcuno si ostini a dire che fosse lui ad essersene voluto andare. Ma si sa: se a dirlo sono gli amanuensi squittanti dei forum, è matematico che accade il contrario. E' comprovato. Dati alla mano, così qualcuno si incazza.

Ricordo Martino, ultimamente, quando ci siam fatti gli auguri natalizi, dopo aver passato 6 mesi difficili causati dal suo momentaneo allontanamento dagli undici titolari e che, evidentemente, gli avevan procurato comprensibili disagi, lui granatiere professionista col vizio del gol in zona Cesarini, allorquando candidamente, nella sua disarmante onestà e professionalità, mi disse testualmente "voglio riappropriarmi di quella maglia, Massimo, farò di tutto per mettere in amorevole difficoltà il Mister perché ci metto l'anima negli allenamenti, magari poi sbaglio in campo qualche volta, però lavoro sodo e ho 25 anni! Ci credo in questo Bari, amo la città, i compagni in particolare che mi son stati vicini durante questo periodo difficile, amo i tifosi tutti". Ecco quel che mi disse. Insomma.

La seconda notizia, quella ancora tutta da dimostrare, che mi ha gettato nello sconforto più grande e che, di fatto, ove fosse confermata, bucherebbe per sempre il pallone entro il quale vivo come in una sfera di cristallo offuscata e che mi spingerebbe nell'antipositività shopenhaueriana più disarmante, è quella relativa al presunto coinvolgimento nel lordume del calcioscommesse di Giampiero Ventura lanciato a bomba, senza pietà, dalla bocca di un personaggio tendenzialmente ambiguo e contraddittorio che, forse, nel tentativo di coinvolgere quanta più gente possibile, si diverte a sparar sterco col ventilatore, risultando, dunque, poco attendibile se non per qualche minus habens - i soliti credenti alle fandonie più che alle sentenze - a cui le gesta eroiche dell'allenatore son diventate mercimonio di subdoli dibattiti mediatici volti a screditarne la sua opera qui a Bari, a prescindere dai suoi fisiologici errori commessi e dalle sue litanie divenute celebri, gesta che han dato spunto ai suddetti amanuensi scribacchini per divertirsi dietro alle sue spalle, magari trincerati dietro ambigui nickname. Le solite cose, insomma.


Ho difeso, e sempre difenderò, Giampiero Ventura per quello che ha svolto a Bari, sia pur con sfaccettature diverse rispetto a Torrente, come noto, anch'egli da me difeso senza se e senza ma, in una situazione difficile, tra eterni e sospetti infortunati, squalificati, e con l'odor di quello che, di lì a poco, sarebbe successo in società. Poi, magari, a qualcuno potrà essere risultato antipatico per questioni personali o avrà un concetto diverso dal mio, e su questo non posso dir nulla, ed anzi, lo rispetto. Ma io non potrò mai accusarlo e prenderne le distanze se a San Siro, contro l'Inter, fece giocare sulla fascia sinistra al posto degli infortunati Belmonte Raggi e Salvatore Masiello, tal Pulzetti che tutto era, in effetti, fuorché terzino sinistro ma che, se non altro, risultava, in quel momento, il più esperto di tutti tra i convocati arruolabili. No, non posso, perché l'unico disponibile, Rinaldi, la cui ultima partita l'aveva giocata due mesi prima contro il Viserba nel derby con la Santarcangiolese, se fosse stato impiegato su Maicon o su Eto'o, avrebbe corso il rischio pressoché certo non solo di autocombustionarsi, ma anche quello di essere sottoposto a pubblico ludibrio mediatico, tanto caro a qualche forum.


Così come non mi sento di accusarlo per altre scelte tecniche dettate dalla situazione del momento, come quella tanto scioccamente discussa da taluni allorquando si "permise" di mettere Romero al posto di D'Alessandro (capirete: manco stessimo parlando di Causio al posto di Bruno Conti), sempre a San Siro, contro il Milan in Coppa Italia, né tanto meno in quell'altra, contro il Cesena in casa, quando decise di mettere sulla fascia il machiavellico Andrea Masiello per Crimi, mossa discussa da tutti. No. Piuttosto lo accuso di non essersi imposto a dovere per altri motivi ben noti e di non essersi dimesso, seriamente, a suo tempo.


Ricordo le sue scelte forzate di cercare alternative nei vari Cilfone, Monopoli, Strambelli e Rana quando i titolari, a partire da Swarosky Barreto ed Almiron, non potevano essere arruolabili. Ecco, proprio non riesco a muovergli critiche, fermo restando che anche lui, come tutti, avrà pure sbagliato talvolta. E la storiella di Genova, in tutta onestà, non riesco a somatizzarla.
Alla sua partenza ricordo che gli scrissi persino un'ode che resi pubblica.

Come sempre, attendo gli sviluppi delle indagini, ma sia chiaro che se solo la notizia fosse confermata - e ripeto se solo fosse confermata - non solo cercherò di chiudere col calcio definitivamente tornado ai miei interessi di sempre, bucando per sempre il pallone come i vigili urbani coi ragazzini di Piazza Garibaldi ai miei tempi, perché vorrà dire che sarà giunto il momento di chiudere definitivamente il baraccone del calcio, ma la delusione e l'amarezza saranno talmente alte che non so, davvero, quale potrà essere la mia reazione. Ma, come sempre, sono parecchio fiducioso a tal proposito. Le sentenze definitive, son per me, quel che cantano. Il resto è sterco. Meno che il Bari attuale che merita di essere supportato per quel che sta facendo. Sempre.

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